Il Sole 24 Ore

Crolla a 9,75 il rapporto fra alunni e insegnanti

I numer i r ilevanti anche nella querelle Padoan-Fedeli sulle nuove stabilizza­zioni Il livello è stato raggiunto dopo le 90mila assunzioni del 2015

- Di Claudio Tucci

Quando uscì la prima fotografia della scuola italiana dopo il taglio di 87mila cattedre operato da Tremonti-Gelmini creò molto scalpore: nonostante la più corposa sforbiciat­a all’organico docente di tutti i tempi, il rapporto alunni/insegnanti, che partiva da 9 a 1, si attestò a 12 a 1; un valore che continuava a essere inferiore alla media Ue, e piuttosto distante da Francia, Germania, Regno unito, Spagna. Il nostro sistema scolastico si assestò e andò avanti, riducendo un bel po’ di “sprechi e inefficien­ze”. Con la maxi-infornata di circa 90mila professori precari realizzata nel 2015 dal governo Renzi si sono riportate le lancette indietro al 2010, tornando addirittur­a ai livelli pre Tremonti-Gelmini: nella primaria il rapporto alunni/insegnanti è sceso a 9,75 a 1; nella secondaria 9,83 a 1, agli ultimi posti nell’Ue. E in vista di settembre il Miur sta premendo sul Mef per ottenere altre 25mila stabilizza­zioni.

Un’operazione, la trasformaz­ione dell’organico di fatto in posti stabili, che costa 400 milioni l’anno, e ha l’unico obiettivo - e non è detto - di far rientrare vicino casa poche migliaia di insegnanti assunti a tempo indetermin­ato dal governo Renzi; a cui si aggiungerà il normale turnover, e quindi all’inizio del nuovo anno scolastico potrebbero esserci altre 30-40mila immissioni in ruolo, abbassando ulteriorme­nte il rapporto alunni/insegnanti - senza che esista alcuna evidenza empirica che dimostri che meno studenti per docenti migliori il livello medio degli apprendime­nti.

Il ministero dell’Istruzione non ha mai fornito ufficialme­nte i dati sul rapporto alunni/insegnanti dopo il maxi piano assunziona­le del 2015, ma con non poca fatica, e una calcolatri­ce alla mano, si possono desumere lo stesso dalle statistich­e ministeria­li.

Partiamo dalla situazione precedente alla legge 107. Nell’ultimo report dell’Ocse «Education at a glance 2016», si fotografa proprio il 2014: ebbene, nella primaria si confermava un rapporto alunni/insegnanti di 12 a 1; così come nella secondaria, 12 a 1. Contro una media europea di 14 a 1 nella primaria, 12 a 1 nella secondaria. Nel confronto internazio­nale restavamo sempre indietro: in Francia, per esempio, il rapporto alunni/ insegnanti nel 2014 si attestava a 19 a 1 nella primaria, 13 a 1 nella secondaria. In Germania, 15 a 1, nella primaria, 13 a 1 nella secondaria; in Spagna, nei due gradi di istruzione, 14 a 1, 12 a 1; nel Regno unito, si registrava, rispettiva­mente, 20 a 1; 16 a 1. Il nostro paese, quindi, già tre anni fa, non se la passava poi così male, avendo uno dei rapporti alunni/insegnanti tra i più bassi al mondo (e si tenga conto che il dato italiano 2014 non teneva conto dei professori di religione, stimati in circa 30mila - aggiungend­o questi si tornava sotto 12 a 1).

Nel 2016, do pola tornata di stabilizza­zioni( costo per l’ Erario 2,2 miliardi a regime) il quadro è il seguente: nella primaria il rapporto alunni/ insegnanti è sceso a 9,75 a 1; nella secondaria 9,83 a 1. Anche qui non si tiene conto dei circa 30mila professori di religione (con loro saremmo ancora più bassi). Nella scuola primaria, prendendo per ancora valido il dato Ocse del 2014, l’Italia diventereb­be penultima in Europa: peggio di noi farebbe solo la Grecia (9a 1). Nella secondaria saremmo terz’ultimi: ci supererebb­ero Austria e Lettonia, entrambi con un rapporto alunni/insegnanti di 9 a 1.

Alla luce di questi dati, rischia di apparire davvero incomprens­ibile la “querelle” Miur-Mef, innescata da Valeria Fedeli per ottenere dal collega Pier Carlo Padoan una nuova stabilizza­zione di 25mila cattedre, di cui, a oggi, non ce ne è bisogno.

Il punto, spiega Attilio Oliva (TreeLLLe e Ocse), è che «serve puntare sulla qualità, non sulla quantità di docenti. E tagliare gli eccessi con una vera spending review». Quello che colpisce da questi numeri, aggiunge Daniele Checchi (università di Milano) è «l’apparente impossibil­ità di programmaz­ione. Ci si sarebbe aspettati che le assegnazio­ni dei nuovi professori fossero andate laddove il divario tra organico di diritto e organico di fatto fosse più pronunciat­o. Ma evidenteme­nte così non deve essere avvenuto. Bisogna adesso che il Miur si doti di un modello previsivo del fabbisogno insegnanti a medio termine. E che poi riesca ad attenersi a quelle previsioni, resistendo alle richieste particolar­istiche di riavvicina­mento di una frangia più o meno ampia del mondo insegnante».

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