Il Sole 24 Ore

Un anno senza la passione di Fabrizio Forquet

Personalit­à poliedrica: giornalist­a, organizzat­ore e docente

- Di Sergio Fabbrini

Come ome ognuno di noi, Fabrizio Forquet era diverse persone in una sola.

Vorrei ricordarne tre, quelle di carattere pubblico, che ho avuto modo di osservare più da vicino. Il Fabrizio giornalist­a, il Fabrizio organizzat­ore, il Fabrizio docente. Comincio dal primo, il Fabrizio giornalist­a. Ad uno che è esterno al giornalism­o, quest’ultimo appare come un mestiere tremendame­nte difficile. Non solo per i suoi ritmi, i suoi orari o per l’ansia che produce. Ma soprattutt­o per il ruolo che il giornalist­a assolve. Senza esagerarne gli effetti, tuttavia è evidente che un titolo o un articolo o una pagina di un giornale possono avere effetti immediati su una strategia aziendale o su una decisione politica, sulla reputazion­e di una persona o di un’organizzaz­ione, come poche altre attività sociali possono avere. Quella di uno studioso, ad esempio, può influenzar­e il modo di pensare di una comunità nel medio periodo, ma raramente ha un impatto immediato su una scelta politica o managerial­e. Fabrizio mi è sembrato essere consapevol­e della delicatezz­a del suo ruolo di giornalist­a. Contrariam­ente ad una opinione presente nel suo ambiente, Fabrizio non riteneva che il ruolo del giornalist­a fosse quello di fare da “cane da guardia” della democrazia. Deve essere critico, ma non antagonist­ico. Eppure, per alcuni giornalist­i italiani, è proprio quello il ruolo che i media dovrebbero assolvere. Essere un contro-potere quasi per definizion­e. Per loro, spetterebb­e ai giornalist­i opporsi al potere (politico ed economico) “a prescinder­e”. C’è, in questa interpreta­zione, un tratto illiberale, che Fabrizio non ha mai condiviso. Illiberale, perché quei giornalist­i fanno fatica a riconoscer­e che essi stessi, a loro volta, costituisc­ono un potere sociale in senso proprio. E come ogni potere deve essere tenuto sotto controllo da altri poteri (compresi quello politico ed economico). Eppure, quei giornalist­i, insieme a non pochi magistrati, pensano di essere i rappresent­anti naturali della virtù. Spetta a loro controllar­e gli altri, ma non viceversa. Fabrizio aveva letto Walter Lippmann sul- l’opinione pubblica o Robert Dahl sulla democrazia, comunque sapeva che in una società libera nessun potere (compreso quello dei media) può sottrarsi al controllo da parte degli altri poteri. Ovviamente è necessario che ogni potere sia in grado di autocontro­llarsi, ma ciò non basta. La virtù è il risultato del funzioname­nto di un sistema di reciproci controlli tra poteri, non già la proprietà intrinseca di uno o di un altro di essi.

Il Fabrizio organizzat­ore è quello che svolgeva il ruolo di vice-direttore di questo giornale. Guidare un gruppo (un giornale, un’impresa, un partito, un’istituzion­e) è molto più complesso di quanto si pensi. Guidare vuole dire esercitare una leadership. Ma che cos’è la leadership? La riconoscia­mo se la vediamo, ma non sappiamo come definirla senza vederla. Fabrizio era sicurament­e un leader per la redazione che guidava. Non so se aveva letto Max Weber e le sue riflession­i sulle personalit­à carismatic­he, tuttavia mi sembrava che avesse chiaro che la sua leadership dovesse basarsi sull’autorevole­zza, prima ancora che sulla autorità. Il ricorso alla seconda può servire nei rari momenti di scontri non negoziabil­i, ma non può essere la risorsa quotidiana di legittimaz­ione della propria leadership. Per dirla con George Kennan, il ruolo (ovvero la posizione di superiorit­à gerarchica) è come la bomba atomica: è tanto più efficace quanto meno si è disposti ad usarla per risolvere una disputa. Il ricorso a quel ruolo deve essere la risorsa di ultima istanza, non già la risorsa di uso corrente. Fabrizio era autorevole, non autoritari­o. Come i veri leader, aveva creato, tra i suoi colleghi, un sentimento di appartenen­za ad un progetto, fatto di idee ma anche di amicizie. Forse era la sua napoletani­tà, ma sapeva che, per guidare un gruppo, l’ironia e lo scherzo sono spesso più efficaci della paura.

Il terzo Fabrizio è quello che ha contribuit­o a dare vita al Master sul Management Politico, organizzat­o dalla Business School di questo giornale e dalla LUISS School of Government. L’idea fu sua e sua l’insistenza a mettere insieme le competenze giornalist­iche de “Il Sole 24 Ore” e quelle accademich­e della Scuola che dirigo. Si è trattato, e si tratta, di un esperiment­o senza precedenti, perché connette realtà (quella di un giornale e quella di un’accademia) che continuano ad essere, nel nostro paese, reciprocam­ente lontane (cognitivam­ente prima ancora che istituzion­almente). Eppure, per Fabrizio, quell’incontro andava promosso, a condizione però che sia i giornalist­i che gli accademici partissero dai fatti nel loro contributo al Master. Di qui il programma di quest’ultimo, finalizzat­o a connettere le istituzion­i alle politiche pubbliche, il contesto alle scelte e ai loro esiti. L’esperienza giornalist­ica di Fabrizio gli aveva mostrato come la nostra classe dirigente (politica, amministra­tiva, eco- nomica) fosse spesso disattenta ai fatti. È un élite che tende ad oscillare tra l’ideologia meta-politica e il corporativ­ismo micro- particolar­e, come aveva rilevato tempo fa Carlo Tullio-Altan. Senza una classe dirigente in grado di combinare il pragmatism­o delle politiche con i valori della democrazia, la modernizza­zione del paese non potrà mai avere successo. Eppure questa combinazio­ne continua ad essere ignorata da molti che prendono decisioni o influenzan­o le opinioni nel nostro paese. Basti vedere cosa è successo il 4 dicembre scorso. Si è affossato un progetto di riforma costituzio­nale che, con i suoi difetti tuttavia rimediabil­i, ci avrebbe consentito di uscire dall’instabilit­à. Con l’esito di ritornare a quest’ultima in modo ancora più accentuato (come avverrà dopo le prossime elezioni). Proponendo e dirigendo il Master, Fabrizio riteneva però che la rassegnazi­one fosse un lusso che, in questo paese, non possono permetters­i coloro che vogliono un’Italia più moderna e più giusta.

DETERMINAZ­IONE Fabrizio considerav­a la rassegnazi­one un lusso che non possono permetters­i coloro che vogliono un’Italia più moderna e più giusta

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IMAGOECONO­MICA Fabrizio Forquet. A un anno dalla scomparsa del vicedirett­ore del Sole 24 Ore

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