Il Sole 24 Ore

Così l’effetto Nimby ha cambiato l’ oil & gas

E la Rockhopper chiede all’Italia 160 milioni di danni causati dal progetto bloccato

- Jacopo Giliberto u

Le compagnie studiano le nostre mappe non più per i giacimenti ma per evitare problemi di ordine pubblico.

Il divieto di sfruttare il giacimento Ombrina Mare potrebbe essere pagato 2,6 euro da ciascuno dei 60 milioni di italiani se fosse confermata l’ipotesi di un danno da 160 milioni di euro per la compagnia inglese Rockhopper, la quale ha aperto un arbitrato internazio­nale ad Amsterdam contro lo Stato italiano. La Rockhopper ha deciso di rivalersi dopo che, nel dicembre 2015, il Governo aveva accolto le spinte dei comitati “no triv” e aveva fermato il giacimento in Adriatico di fronte alla costa abruzzese.

La vicenda del risarcimen­to che la Rockhopper i ntende chiedere per il danno emergente e il lucro cessante è stato uno dei temi discussi nei giorni scorsi a Ravenna per l’Omc (Offshore Mediterran­ean Conference), uno degli eventi più importanti dell’upstream petrolifer­o nel Vecchio Continente e concluso ieri mattina.

L’argomento comune di gran parte delle discussion­i delle compagnie petrolifer­e non è dove sono i giacimenti (pare che l’Italia sia piena di riserve nascoste da scoprire) bensì dove il contesto sociale consente di usare le risorse. In altre parole: dove si può investire e dove al contrario i comitati nimby impediscon­o de facto di usare le risorse.

Si riuscirà per esempio a esplorare il mare a ponente della Sardegna? In teoria, sotto al fondale fra Sardegna, Spagna e Francia potrebbero nasconders­i risorse gigantesch­e, qualcosa come 6mila miliardi di metri cubi di metano. Un’enormità che potrebbe cambiare la mappa del benessere e del malessere. Se riuscirà a sfruttare quelle aree, l’Ita- lia potrebbe incassare royalty importanti per contribuir­e anche alle politiche sociali, sanitarie, ambientali e così via.

Secondo i geologi, nel sottosuolo sotto i piedi degli italiani ci sono le condizioni per trovare risorse impression­anti. È una mezzaluna immensa che dal Piemonte passa sotto Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna fino a Basilicata e Puglia, compreso tutto l’Adriatico, e poi il mare Ionio e il Canale di Sicilia. E il mare a ovest della Sardegna.

Le compagnie vorrebbero cercare sotto la Basilicata e il mare Ionio, ma la sensibilit­à locale potrebbe non permettere di individuar­e molti dei giacimenti immaginati. Altri giacimenti rilevanti si annunciano sotto i fondali dell’Adriatico, dal golfo di Venezia fino al Canale d’Otranto, ma veneti e pugliesi paiono voler rinunciare a questa ricchezza. Sembrano meno imbarazzat­i nello sfruttare il sottosuolo i siciliani, gli emiliani e i romagnoli.

Chi si muove? Stanno cercando giacimenti diverse compagnie internazio­nali, come l’Aleanna, l’Apennine, la Po Valley. Attive anche l’emiliana Gas Plus che sta avviando nuovi giacimenti, l’Edison con investimen­ti soprattutt­o attorno alla storica piattaform­a Vega al largo della costa ragusana, l’Eni con le riserve nel Canale di Sicilia di fronte a Gela. In Basilicata la Total sta completand­o il centro oli di Tempa Rossa e la Shell di scontra con primi no dei comitati nimby per le nuove aree di ricerca.

Il solo progetto Argo che l’Eni sta sviluppand­o al largo di Gela potrebbe soddisfare un terzo del fabbisogno di metano dell’intera Sicilia, con impianti realizzati nella storica raffineria di Gela senza bisogno di brutte piattaform­e in mezzo al mare.

L’industria dei giacimenti si sta attrezzand­o per superare la paralisi generata dalle contestazi­oni locali. Invece di cercare nuovi giacimenti conviene sfruttare più a fondo i giacimenti da cui già si estrae. Fra i progetti, si studia per esempio di iniettare nei giacimenti quell’anidride carbonica che oggi molte ciminiere disperdono nell’aria. E la CO2 compressa nel sottosuolo può fare come fa la CO2 nei fusti di birra: spillare meglio il fluido contenuto all’interno. Greggio alla spina.

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