Il rebus-prescrizione condiziona la scelta
Oltre alla effettiva disponibilità economica, il fattore che forse sta influenzando maggiormente la scelta di aderire o meno alla rottamazione è la prescrizione. Sapere, infatti, se un carico rottamabile sia o meno prescritto risulta fondamentale, laddove è noto che, secondo quanto stabilito dall'articolo 2490 del Codice civile, l'eventuale versamento spontaneo del debito prescritto relativo a imposte, sanzioni e tributi, non potrà essere chiesto a rimborso.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini della riscossione le imposte sui redditi, l'Iva e l'Irap soggiacciono all'ordinario termine di prescrizione di dieci anni previsto dall'articolo 2946 del Codice civile (da ultimo, Corte Cassazione, sentenza n. 12715/2016). Inoltre, anche per l'imposta di registro e l'imposta sulle successioni vale il termine decennale di prescrizione ai fini della relativa riscossione. Sono invece soggetti al più breve termine di prescrizione di cinque anni, i contributi previdenziali ed assistenziali, i tributi locali (Tarsu, Tosap, Ici ecc.) e i contributi consortili, così come pure le sanzioni tributarie, anche se comminate dall'agenzia delle Entrate per l'omesso, tardivo o carente versamento di un tributo per cui è previsto il termine decennale.
Generalmente, la prescrizione decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere e, in particolare, dal giorno successivo a quello in cui il tributo o la sanzione avrebbero dovuto essere pagati. Tuttavia, i suddetti termini prescrizionali si interrompono qualora, prima del loro decorso, dopo la notifica della cartella di pagamento o dell'accertamento esecutivo o dell'avviso di addebito Inps, l'agente della riscossione notifichi atti successivi alla prima richiesta di pagamento delle somme come, ad esempio, il preavviso di fermo di beni mobili registrati, l'intimazione ad adempiere, la comunicazione di iscrizione di ipoteca o direttamente atti esecutivi, quali il pignoramento. In tal caso, appunto, se notificati prima del decorso del termine di dieci o cinque anni a seconda dei casi, si determina l'interruzione e il termine per la prescrizione ricomincia a decorrere. Inoltre, la prescrizione è interrotta anche dallo stesso contribuente in caso di impugnazione dell'atto in commissione Tributaria e fino alla formazione del giudicato.
La scelta di presentare o meno l'istanza di rottamazione dipende dunque dalla “ragionevole” certezza che, dalla notifica del primo atto con cui l'amministrazione finanziaria ha reso nota la pretesa e fino ad oggi (o comunque prima del termine di presentazione del modello DA1) siano trascorsi più di dieci anni (in caso di carichi relativi ad imposte) o cinque anni (in caso di carichi previdenziali o di sanzioni o di tributi locali) e che, nel frattempo, non siano stati notificati atti interruttivi.
In caso di dubbio, inoltre, potrebbe essere opportuno presentare ad Equitalia un'istanza di accesso agli atti amministrativi per acquisire informazioni circa la notifica di eventuali atti successivi all'atto originario, anche se ormai i tempi per un'eventuale risposta sono estremamente ridotti.
In ogni caso, nel caso in cui l'istanza di rottamazione dovesse riguardare carichi previdenziali prescritti, è ragionevole ritenere che Equitalia non ne pretenda il pagamento in forza dell'articolo 3 della legge 335/1995 secondo cui, in caso di intervenuta prescrizione, il debito è automaticamente estinto e non ne è ammesso il pagamento.