A Madrid il prato ibrido è italiano
«Il nostro manto ibrido è nato per sbaglio, 24 anni fa a San Siro. Chi stava seminando aveva gettato dei semi su un prato sintetico. L’erba crebbe, e anche bene». Fabio Rappo, amministratore unico della Mixto, racconta così l’inizio di questa avventura che ha portato l’azienda italiana a realizzare il nuovo manto del Santiago Bernabéu, ma anche dell’Amesterdam Arena, del Prince Faisal Bin Fahd Stadium di Riyadh e dello stadio di Shangai, solo per citarne alcuni.
La “ricetta” della Mixto è personalizzata per ogni singolo campo perché dipende dal clima, dalla luminosità e da tanti altri fattori che vengono presi in considerazione per elaborare la giusta miscela. «Stiamo parlando di campi naturali - sottolinea Rappo - ai quali viene aggiunta una parte sintetica per rinforzare gli ultimi 3-4 centimetri. Questo metodo ci permette di aggiungere resistenza dove serve, senza far perdere naturalezza al manto erboso».
L’intreccio tra i lamenti sintetici e l’erba naturale assicura la stabilità del prato e previene sia gli strappi che il sollevamento di zolle. «La resistenza del tappeto erboso e la possibilità di utilizzo è circa 3 volte superiore rispetto al tappeto naturale - sottolinea Rappo -, nonostante la percezione del giocatore sia pressoché identica a quella di un terreno completamente naturale».
Realizzare un buon campo misto però non basta: «Il groundsman è il dodicesimo giocatore in campo» spiega Rappo citando uno dei più famosi esperti del settore, Mark Perrin, ex responsabile del campo del Crystal Palace. «Un buon manto è fatto al 50% dalla qualità della costruzione e al 50% dalla manutenzione. All’estero lo hanno già capito: molte squadre hanno un groundsman all’interno della società, altre si affidano per la manutenzione all’impresa che realizza il manto erboso».