Un doppio regime per le sanzioni
Con riferimento alle sanzioni amministrative tributarie, una delle questioni sicuramente più dibattute consiste nel potenziale coinvolgimento degli amministratori in merito alle sanzioni amministrative tributarie proprie delle società di capitali.
Come è facile immaginare, a favore dell’estraneità delle persone fisiche sussiste l’autonomia giuridica perfetta propria delle società in predicato. In senso contrario, tuttavia, viene eccepito il ruolo determinante dell’organo amministrativo negli atti o fatti “generatori” della sanzione stessa.
A creare una certa difficoltà nel delineare un univoco orientamento incide senz’altro la presenza di più orientamenti apparentemente contrastanti.
Le disposizioni che generalmente vengono richiamate in contenzioso, sia dagli Uffici che dai contribuenti, sono essenzialmente le seguenti: ea favore dell’allargamento della responsabilità in capo agli amministratori viene richiamato il Dlgs 472/97, articolo 11, comma1, secondo il quale «nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo» venga commessa dal dipendente o dal rappresentante legale di società, detta persona fisica è solidalmente obbligata al pagamento delle sanzioni; r viceversa, in senso diametralmente opposto si esprime il Dlgs 269/2003, articolo 7, secondo il quale «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica»; t non va poi dimenticato il concetto di violazione del ne bis in idem. Si tratta, com’è noto, di un principio di alternatività tra la sanzione penale e quella tributaria secondo cui, nell’ambito di situazioni in cui coesistono entrambi i procedimenti, il “secondo” processo in ordine temporale non dovrebbe nemmeno iniziare (o, se già iniziato, dovrebbe interrompersi).
Giova ricordare che per l’applicazione della disposizione in predicato è necessario l’avveramento di quattro condizioni: e la sanzione amministrativa deve avere anche natura penale; ri fatti di rilevanza penale per i quali è iniziato il relativo procedimento devono essere i medesimi per i quali è stata comminata la sanzione fiscale (idem); t deve sussistere una duplicazione dei procedimenti, tributario e penale (bis); u deve essere pronunciata una sentenza definitiva in uno dei due procedimenti.
L’apparente contrasto tra il Dlgs 472/97 e il Dlgs 269/03 è stato già risolto dalla giurisprudenza di riferimento a favore di una implicita abrogazione del primo (limitatamente al comma già richiamato) da parte del secondo (temporalmente successivo). A supporto di tale tesi si richiamano, tra le più recenti pronunce: Cassazione 4775/2016, Cassazione 12007/2015, Ctr Lombardia 1512/67/2016.
Recentemente, la Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza 897/2016 (depositata lo scorso 30 gennaio) si è invece concentrata sulle ultime due fattispecie, pronunciandosi con riguardo alla applicazione del citato Dlgs 269/2003 rispetto al divieto di ne bis in idem. La vicenda trae origine da un accertamento nel quale una Srl è stata accusata di aver indebitamente detratto l’iva su fatture soggettivamente inesistenti (indicazione di acquirente intracomunitario in luogo dell’effettivo acquirente italiano).
Contro l’atto di irrogazione delle sanzioni la società aveva proposto ricorso eccependo, tra gli altri motivi, la violazione del principio del ne bis in idem in pendenza di un procedimento penale a carico del legale rappresentante della s.r.l. richiamata, relativo ai medesimi fatti.
I giudici tuttavia hanno statuito che, poiché l’articolo 7 del Dlgs 269/03 prevede che la sanzione amministrativa tributaria in capo a una società di capitale sia esclusivamente a carico di quest’ultima, «ne deriva l’esclusione in radice della applicabilità del principio di specialità o del ne bis in idem, non verificandosi alcun cumulo di sanzioni afflittive, amministrative e penali a carico di uno stesso soggetto». In altre parole: la società di capitali ricorrente, avente personalità giuridica, risponde in via esclusiva in ambito tributario, mentre il legale rappresentante risponde personalmente delle sanzioni stabilite in caso di condanna penale. La decisione risulta peraltro in linea con le recenti conclusioni dell’avvocato generale M. Campos Sanchez-Bordona nelle cause C-217/15 e C-350/15, presentate lo scorso 12 gennaio (non richiamate nella sentenza appena commentata).