Il Sole 24 Ore

Quotate pubbliche, c’è la clausola di salvaguard­ia per il primo azionista

- Celestina Dominelli

L 'antefatto è andato i n scena nelle ultime assemblee delle società a controllo pubblico che hanno visto crescere la partecipaz­ione degli investitor­i istituzion­ali: da Leonardo (ex Finmeccani­ca), dove la presenza dei soci i n assise è passata dal 48% nel 2013 al 60% circa del capitale lo scorso anno, all'Enel, dove, a maggio scorso, la quota delle minoranze sul capitale presente in assemblea è arrivata a sfiorare il 57% a fronte del 43,9% del Tesoro, solo per citare alcuni esempi.

Segno che i grandi fondi stranieri mostrano una crescente propension­e a inter- venire in misura sempre più significat­iva nelle assemblee delle emittenti pubbliche in cui investono, in omaggio ai principi di gestione responsabi­le che devono osservare.

Così anche i rinnovi dei board sono diventati un test per misurare l'alta partecipaz­ione, ma hanno creato nondimeno qualche contrattem­po là dove, come accaduto lo scorso aprile i n occasione dell'assise per decidere i nuovi vertici di Snam, la lista presentata da Assogestio­ni ha battuto, seppur di un soffio, quella depositata dal socio di maggioranz­a Cdp Reti.

Alla fine, la quadratura del cerchio è stata trovata grazie a un “gentlemen's agreement” tra i soci, con Assogestio­ni che ha fatto eleggere solo i suoi tre rappresent­anti in lista e ha dato poi il via libera ai sei consiglier­i di Cdp Reti.

Una soluzione individuat­a “sul campo”, grazie anche alla collaboraz­ione dei fondi che non puntano certo al governo delle imprese. Da lì è partita, però, una riflession­e sfociata nella messa a punto di una clausola di salvaguard­ia per evitare la possibile impasse che si verrebbe a determinar­e nel caso in cui la lista presentata dalle minoranze per il consiglio di amministra­zione ottenesse la maggioranz­a dei consensi in assemblea, ma non disponesse di un numero di candidati sufficient­e a coprire la maggioranz­a dei posti nel board.

Esattament­e il copione che potrebbe verificars­i anche nelle prossime assemblee convocate tra aprile e maggio per la nomina dei vertici delle partecipat­e pubbliche in consideraz­ione della crescita degli investitor­i istituzion­ali.

In cosa consiste l'exit strategy? In sostanza, se a ottenere la maggioranz­a dei consensi in assise fosse la lista dei fondi, che non contiene un numero sufficient­e a coprire la maggior parte dei posti da assegnare, si procederà a pescare dalla lista dei fondi tutti i candidati, passando poi a recuperare un certo numero di posti (tre decimi o un terzo a seconda della composizio­ne dei board) dalle liste di minoranza e attingendo sempre dalla lista di minoranza più votata per i restanti amministra­tori in relazione alla sua capienza.

Tradotto: saranno comunque le liste dell'azionista di maggioranz­a (Cdp o Tesoro) a consentire la composizio­ne finale del consiglio di amministra­zione.

La prima ad approvare questa clausola è stata l'Enel nel maggio 2016 e alla prossima assemblea, in programma per il 4 maggio, ne testerà l'efficacia. Come Terna che, nell'assise straordina­ria di metà marzo, ha votato la norma che sarà sperimenta­ta il 27 aprile. Mentre il 16 maggio toccherà a Leonardo modificare lo statuto per “blindare” il voto di lista.

Mentre Eni, chiamata a rinnovare i suoi vertici il prossimo 13 aprile, ha preferito non introdurre la modifica, come Snam che, nonostante l'impasse dello scorso anno, non ha cambiato il suo statuto.

CAMBIO DI STATUTO La prima è stata l'Enel seguita da Terna. Ne testeranno l’efficacia nelle prossime assemblee. A metà maggio toccherà a Leonardo

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