Il terreno scivoloso dell’antimafia delle parole
Terreno scivoloso quello dell’antimafia. Quando pensi di aver issato la bandiera in cima alla montagna della conoscenza, c’è sempre qualcosa o qualcuno che ti riporta a valle. In questo terreno irto di insidie, Sicilia e Calabria non fanno passare giorno senza che qualche nuova spina si aggiunga alla corona che Cosa nostra e ‘ndrangheta contribuiscono quotidianamente ad arricchire e così facendo mettono a dura prova la “presunzione di conoscenza” dell’opinione pubblica.
In Sicilia torna a galla la vicenda dell’ex Governatore Raffaele Lombardo, assolto due giorni fa in appello a Catania dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La conoscenza dei fatti dell’opinione pubblica è messa a dura prova: è stato condannato a due anni (pena sospesa) per voto di scambio - attenzione ora ai funambolismi che la legge consente - con aggravante mafiosa, ma non con la violenza e l’assoggettamento. E dietro l’angolo c'è il ricorso in Cassazione.
Pochi giorni prima a cadere nella rete della Giustizia e a disorientare l’opinione pubblica è stato l’ex magistrato Antonio Ingroia. La Procura di Palermo - casa sua fino al 2013 - lo indaga per peculato nell’ambito delle attività come amministratore di Sicilia e-Servizi. Un’altra posizione dell’ex pm di punta del pool antimafia di Palermo, che respinge ogni accusa e contro il quale si leva alto il coro di molti di condanna a priori, è stata già archiviata il 16 agosto 2016 dal gip di Palermo, su presunte irregolari assunzioni nella stessa Sicilia e-Servizi.
Passano poche ore e viene a galla il verbale, depositato alla Procura di Catania, nel quale Santo La Causa, pentito dal 2012 ed ex reggente del potentissimo clan Santapaola, dichiara ai pm che Cosa nostra catanese si sarebbe diabolicamente ribellata al codice etico di Confindustria Sicilia, voluto da Ivan Lo Bello e Antonello Montante, che prevede l’espulsione degli imprenditori che pagano il pizzo e non denunciano. Cosa nostra si sarebbe ribellata al codice simulando estorsioni in accordo con le finte vittime, che non solo non sarebbero state espulse ma sarebbero diventate icone. Non c’è che dire: giù il cappello di fronte a questa diabolica strategia, che si aggiunge a quelle storiche e consolidate: morte, violenza, mascariamento e delegittimazione.
«... Ritenemmo che per cautelare questi imprenditori amici - riporta il sito www.livesicilia.it - bisognava far fare loro delle denunzie, simulando di subire degli atti estorsivi e quindi fare in modo che si proteggessero da queste leggi». «Queste leggi» sarebbero, appunto, quelle introdotte da Lo Bello e Montante, entrambi indagati per fattispecie di reato diverse e già condannati da molti senza aver avuto neppure un rinvio a giudizio. Perdere la bussola al Sud - soprattutto quando ci si schiera tra colpevolisti o innocentisti “a prescindere” - è facile. Colpisce la notizia, che arriva da Reggio Calabria (fonte: La Gazzetta del Sud), in cui la Procura indaga su una presunta distrazione di fondi, in massima parte ricevuti dalla Regione, da parte di Adriana Musella, presidente di RiferimentiGerbera, il coordinamento antimafia da lei fondato il 9 giugno 1995. Musella - il cui padre Gennaro, un ingegnere salernitano, il 3 maggio 1982 venne disintegrato un’autobomba a Reggio Calabria, con il corpo ridotto a brandelli da una micidiale carica di tritolo - ogni anno può contare sulla presenza del presidente del Senato Piero Grasso, anche quando era a capo della Direzione nazionale antimafia, in occasione della giornata della memoria di quell’omicidio e il 16 gennaio di quest’anno ha ricevuto a Milano il premio Giorgio Ambrosoli «per l’esercizio della sua attività professionale all’insegna dei principi di integrità, responsabilità e professionalità, nel rispetto e tutela dello Stato di diritto in condizioni di particolari avversità e improprie pressioni contro la legalità nel contesto in cui ha operato».
Sarà la magistratura a esprimere, eventualmente, un giudizio e meglio faremmo a concentrarci su una seconda notizia dalla Calabria martoriata. Padre Giovanni Ladiana, dal 2010 attivissimo punto di riferimento dell’associazione Reggionon tace, dal 26 marzo è stato trasferito a Bari. Da buon gesuita esegue, ma la città perde un punto di riferimento concreto.