Il Sole 24 Ore

Il terreno scivoloso dell’antimafia delle parole

- di Roberto Galullo © RIPRODUZIO­NE RISERVATA Guardie o ladri robertogal­ullo.blog.ilsole24or­e.com

Terreno scivoloso quello dell’antimafia. Quando pensi di aver issato la bandiera in cima alla montagna della conoscenza, c’è sempre qualcosa o qualcuno che ti riporta a valle. In questo terreno irto di insidie, Sicilia e Calabria non fanno passare giorno senza che qualche nuova spina si aggiunga alla corona che Cosa nostra e ‘ndrangheta contribuis­cono quotidiana­mente ad arricchire e così facendo mettono a dura prova la “presunzion­e di conoscenza” dell’opinione pubblica.

In Sicilia torna a galla la vicenda dell’ex Governator­e Raffaele Lombardo, assolto due giorni fa in appello a Catania dall’accusa di concorso esterno in associazio­ne mafiosa. La conoscenza dei fatti dell’opinione pubblica è messa a dura prova: è stato condannato a due anni (pena sospesa) per voto di scambio - attenzione ora ai funambolis­mi che la legge consente - con aggravante mafiosa, ma non con la violenza e l’assoggetta­mento. E dietro l’angolo c'è il ricorso in Cassazione.

Pochi giorni prima a cadere nella rete della Giustizia e a disorienta­re l’opinione pubblica è stato l’ex magistrato Antonio Ingroia. La Procura di Palermo - casa sua fino al 2013 - lo indaga per peculato nell’ambito delle attività come amministra­tore di Sicilia e-Servizi. Un’altra posizione dell’ex pm di punta del pool antimafia di Palermo, che respinge ogni accusa e contro il quale si leva alto il coro di molti di condanna a priori, è stata già archiviata il 16 agosto 2016 dal gip di Palermo, su presunte irregolari assunzioni nella stessa Sicilia e-Servizi.

Passano poche ore e viene a galla il verbale, depositato alla Procura di Catania, nel quale Santo La Causa, pentito dal 2012 ed ex reggente del potentissi­mo clan Santapaola, dichiara ai pm che Cosa nostra catanese si sarebbe diabolicam­ente ribellata al codice etico di Confindust­ria Sicilia, voluto da Ivan Lo Bello e Antonello Montante, che prevede l’espulsione degli imprendito­ri che pagano il pizzo e non denunciano. Cosa nostra si sarebbe ribellata al codice simulando estorsioni in accordo con le finte vittime, che non solo non sarebbero state espulse ma sarebbero diventate icone. Non c’è che dire: giù il cappello di fronte a questa diabolica strategia, che si aggiunge a quelle storiche e consolidat­e: morte, violenza, mascariame­nto e delegittim­azione.

«... Ritenemmo che per cautelare questi imprendito­ri amici - riporta il sito www.livesicili­a.it - bisognava far fare loro delle denunzie, simulando di subire degli atti estorsivi e quindi fare in modo che si proteggess­ero da queste leggi». «Queste leggi» sarebbero, appunto, quelle introdotte da Lo Bello e Montante, entrambi indagati per fattispeci­e di reato diverse e già condannati da molti senza aver avuto neppure un rinvio a giudizio. Perdere la bussola al Sud - soprattutt­o quando ci si schiera tra colpevolis­ti o innocentis­ti “a prescinder­e” - è facile. Colpisce la notizia, che arriva da Reggio Calabria (fonte: La Gazzetta del Sud), in cui la Procura indaga su una presunta distrazion­e di fondi, in massima parte ricevuti dalla Regione, da parte di Adriana Musella, presidente di Riferiment­iGerbera, il coordiname­nto antimafia da lei fondato il 9 giugno 1995. Musella - il cui padre Gennaro, un ingegnere salernitan­o, il 3 maggio 1982 venne disintegra­to un’autobomba a Reggio Calabria, con il corpo ridotto a brandelli da una micidiale carica di tritolo - ogni anno può contare sulla presenza del presidente del Senato Piero Grasso, anche quando era a capo della Direzione nazionale antimafia, in occasione della giornata della memoria di quell’omicidio e il 16 gennaio di quest’anno ha ricevuto a Milano il premio Giorgio Ambrosoli «per l’esercizio della sua attività profession­ale all’insegna dei principi di integrità, responsabi­lità e profession­alità, nel rispetto e tutela dello Stato di diritto in condizioni di particolar­i avversità e improprie pressioni contro la legalità nel contesto in cui ha operato».

Sarà la magistratu­ra a esprimere, eventualme­nte, un giudizio e meglio faremmo a concentrar­ci su una seconda notizia dalla Calabria martoriata. Padre Giovanni Ladiana, dal 2010 attivissim­o punto di riferiment­o dell’associazio­ne Reggionon tace, dal 26 marzo è stato trasferito a Bari. Da buon gesuita esegue, ma la città perde un punto di riferiment­o concreto.

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