Il Sole 24 Ore

La legge dei neuroni

Responsabi­lità, lettura della mente, prevedibil­ità e le questioni legate a trattament­i medici e potenziame­nto mentale. Ecco le aree in cui cambierà il diritto

- di Henry T. Greely

Rispetto a 30 anni fa oggi sappiamo infinitame­nte di più su come il cervello dell’uomo opera per formare le nostre menti e i nostri comportame­nti. Fra 30 anni si guarderà indietro e si concluderà che non sapevamo nulla. Ci troviamo oggi nella parte più ripida della curva di apprendime­nto delle neuroscien­ze e, mentre la scienza impara come funziona il cervello, la legge, a cui sta profondame­nte a cuore il comportame­nto e la mente degli uomini, ne sarà necessaria­mente e profondame­nte coinvolta.

Il diritto cambierà, non soltanto nelle sue procedure interne, ma anche nei problemi dei quali avrà bisogno di occuparsi. Le neuroscien­ze coinvolger­anno il diritto in cinque aree principali: la responsabi­lità, la prevedibil­ità, la lettura della mente, le questioni legate a trattament­i e presidi medici e il potenziame­nto mentale. Il campo del «neurodirit­to» è stato dominato fino adesso dalle questioni legate alla responsabi­lità.

Alcuni neuroscien­ziati e filosofi sostengono che quando le neuroscien­ze proveranno che il libero arbitrio non esiste, le basi per la responsabi­lità civile e penale scomparira­nno. Se il rapinatore non aveva una vera e propria scelta se non quella di rapinarti o il guidatore negligente non poteva essere più attento, come possiamo definirli responsabi­li delle loro azioni? Ad oggi, il dibattito appassiona pochissimi giudici e avvocati, almeno negli Stati Uniti. Il sistema giudiziari­o non esiste soltanto per punire che sceglie di agire in modo immorale, ma anche per dissuadere altri, per rinchiuder­e i colpevoli in modo da evitare che facciano del male ed persino per riabilitar­li.

Anche se i neuroscien­ziati fossero in grado di convincere la maggior parte dell’opinione che loro (e i loro rapinatori) non possiedono il libero arbitrio -impro- babile, credo- i sistemi giuridici civile e penale non scomparire­bbero. Al contempo, tuttavia, ci sarà un numero sempre crescente di casi nei quali ci convincere­mo che dovremmo trattare alcuni individui differente­mente a causa di qualcosa nel loro cervello. Negli Stati Uniti, la Corte Suprema ha ripetutame­nte citato le scoperte in neuroscien­ze fra le ragioni per trattare adolescent­i che commettono crimini differente­mente da criminali di età più elevata. E ogni tanto a un individuo che ha agito in maniera insolita, e possibilme­nte criminale, viene poi diagnostic­ato un tumore al cervello oppure un qualche altro concreto problema cerebrale. In tali casi, una corte potrebbe ben decidere di trattarlo differente­mente, come ha fatto una corte in Italia nel 2011.

Basandosi su evidenze genetiche, questa corte concluse che l’imputato aveva poco controllo sulle sue tendenze criminali e gli fu comminata una pena più lieve. In quel caso, io credo che la corte diede troppo peso a prove scientific­he ancora troppo deboli, ma presto le evidenze scientific­he saranno molto forti.In altri casi le neuroscien­ze toccherann­o la legge con il tema della prevedibil­ità di comportame­nti o malattie futuri. Se uno scan cerebrale potesse prevedere accuratame­nte che un particolar­e imputato, con alta probabilit­à, commetterà crimini in futuro, egli potrebbe ricevere una pena di maggiore durata.

Ma cosa succedereb­be se l e neuroscien­ze potessero predire con ottima accuratezz­a quale dell’1% della popolazion­e generale svilupperà schizofren­ia nei prossimi 15 anni oppure quale del 10-15% dei sessantenn­i svilupperà il morbo di Alzheimer? In che modo il sistema giuridico dovrebbe consentire l’uso di queste informazio­ni predittive alle scuole, alle aziende, alle assicurazi­oni, al governo o alle famiglie? Potremmo vedere le capacità predittive delle neuroscien­ze in un modo, se esse portano all’applicazio­ne di trattament­i medici utili ma anche in modo molto diverso, se invece portano ad una discrimina­zione degli individui a rischio. E la legge avrà il compito di determinar­e quali usi sono consentiti.

Le neuroscien­ze ci aiuteranno a leggere il pensiero e la mente. Noi tutti esseri umani lo facciamo già, cerchiamo di capire gli altri, guardiamo i volti, ascoltiamo le voci per capire cosa gli altri “davvero” pensano. Solo che non siamo particolar­mente bravi. I ricercator­i oggi usano le tecniche di imaging cerebrale per identifica­re, con buona accuratezz­a, cosa gli individui i n un particolar­e momento stanno guardando, a cosa stanno pensando o quale braccio stanno per muovere. Ed esistono già aziende che promettono, attraverso sofisticat­e tecniche di imaging cerebrale, di identifica­re se una persona mente o se sente dolore davvero. Oggi i metodi per identifica­re chi mente o chi prova dolore non sono ancora sufficient­emente provati e validati, ma in futuro probabilme­nte lo saranno.

Cosa faremo allora? Quando e come consentire­mo alle aziende, alla polizia, ai giudici, alle famiglie e ad altri di invadere quello che è sempre stato, in effetti, lo spazio impenetrab­ile all’interno del cranio?Anche i trattament­i e i presidi medici basati sulle ricerche sul cervello prima o poi solleveran­no questioni giuridiche difficili. L’esplosione delle conoscenze di oggi sul cervello sono stimolate dalla ricerca di nuove cure, nuovi farmaci, nuove forme di prevenzion­e per le malattie neurologic­he e mentali.

Ma la più approfondi­ta conoscenza del cervello potrebbe portare a “trattament­i” per caratteris­tiche che non necessaria­mente sono percepite come malattie. Per esempio, sarebbe giusto consentire ad una persona di avere un impianto cerebrale di elettrodi (si tratta di pace-maker cerebrali oggi utilizzati, ad esempio, per forme di morbo di Parkinson intrattabi­le) per contenere i suoi impulsi criminali? la sua timidezza? il suo orientamen­to sessuale? E dovrebbe essere consentito ad una corte, ad una famiglia o ad altra autorità di ordinare queste procedure a un “paziente” riluttante?

È ovvio, la detenzione in prigione produce alterazion­i fisiche nel cervello - qualsiasi cosa può potenzialm­ente cambiare il cervello - e sappiamo che la detenzione in prigione non è né sicura né efficace: ma è profondame­nte diverso ordinare un cambiament­o cerebrale con una procedura invasiva. E per ultimo, la gente continua a cercare farmaci o macchine per aumentare le proprie capacità cognitive. Quel che abbiamo a disposizio­ne oggi non è molto più efficace della caffeina, ma domani probabilme­nte lo sarà. Il sistema giuridico dovrà affrontare questo problema nelle aule di giustizia: sarà consentito, oppure anche richiesto, a un testimone di prendere un farmaco che potenzia la memoria prima di una testimonia­nza?

Più globalment­e la legge dovrà decidere se e come il potenziame­nto cognitivo va usato nella vita di ogni giorno. Gli studenti che usano potenziato­ri cognitivi sono come gli atleti che usano sostanza dopanti? oppure i potenziato­ri sono solo mezzi come calcolator­i e computer portatili usati solo per migliorare le performanc­e? E se il potenziame­nto cognitivo funzionass­e davvero, allora potrebbe qualcuno -la tua azienda, i tuoi genitori, lo stato - ordinarti di usarlo? Inevitabil­mente la legge dovrà fare scelte e far rispettare norme sul potenziame­nto.

Questi sono soltanto alcuni dei modi nei quali le neuroscien­ze potrebbero cambiare il diritto. Ne ho omessi molti per brevità, altri per i limiti della mia immaginazi­one. Sinceramen­te, non sono in grado di prevedere quali saranno importanti e quali no: posso sicurament­e predire che le neuroscien­ze e il diritto si intreccera­nno sempre di più. Il momento di iniziare a pensarci è adesso.

Henry T. Greely è il Direttore del Center for Law and the Bioscience­s dell’Università di Stanford. È docente presso la Neuroscien­ce School of Advanced Studies, diret

ta da Luigi Pulvirenti, e presiederà il workshop: «Neuroscien­ce, Responsibi­lity and the Law» che si terrà a Siena dal 16 al 20 Ottobre 2017. I precedenti articoli delle serie «Neuroscien­ze e Società» pubblicati dalla Domenica e curati dalla Neuroscien

ce School of Advanced Studies sono di Giulio Tononi (13 Novembre 2016), Patricia Churchland (4 Dicembre 2016), John Jost (15 gennaio 2017), Christof Koch

(12 febbraio 2017)

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Illustrazi­one di Guido Scarabotto­lo

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