La legge dei neuroni
Responsabilità, lettura della mente, prevedibilità e le questioni legate a trattamenti medici e potenziamento mentale. Ecco le aree in cui cambierà il diritto
Rispetto a 30 anni fa oggi sappiamo infinitamente di più su come il cervello dell’uomo opera per formare le nostre menti e i nostri comportamenti. Fra 30 anni si guarderà indietro e si concluderà che non sapevamo nulla. Ci troviamo oggi nella parte più ripida della curva di apprendimento delle neuroscienze e, mentre la scienza impara come funziona il cervello, la legge, a cui sta profondamente a cuore il comportamento e la mente degli uomini, ne sarà necessariamente e profondamente coinvolta.
Il diritto cambierà, non soltanto nelle sue procedure interne, ma anche nei problemi dei quali avrà bisogno di occuparsi. Le neuroscienze coinvolgeranno il diritto in cinque aree principali: la responsabilità, la prevedibilità, la lettura della mente, le questioni legate a trattamenti e presidi medici e il potenziamento mentale. Il campo del «neurodiritto» è stato dominato fino adesso dalle questioni legate alla responsabilità.
Alcuni neuroscienziati e filosofi sostengono che quando le neuroscienze proveranno che il libero arbitrio non esiste, le basi per la responsabilità civile e penale scompariranno. Se il rapinatore non aveva una vera e propria scelta se non quella di rapinarti o il guidatore negligente non poteva essere più attento, come possiamo definirli responsabili delle loro azioni? Ad oggi, il dibattito appassiona pochissimi giudici e avvocati, almeno negli Stati Uniti. Il sistema giudiziario non esiste soltanto per punire che sceglie di agire in modo immorale, ma anche per dissuadere altri, per rinchiudere i colpevoli in modo da evitare che facciano del male ed persino per riabilitarli.
Anche se i neuroscienziati fossero in grado di convincere la maggior parte dell’opinione che loro (e i loro rapinatori) non possiedono il libero arbitrio -impro- babile, credo- i sistemi giuridici civile e penale non scomparirebbero. Al contempo, tuttavia, ci sarà un numero sempre crescente di casi nei quali ci convinceremo che dovremmo trattare alcuni individui differentemente a causa di qualcosa nel loro cervello. Negli Stati Uniti, la Corte Suprema ha ripetutamente citato le scoperte in neuroscienze fra le ragioni per trattare adolescenti che commettono crimini differentemente da criminali di età più elevata. E ogni tanto a un individuo che ha agito in maniera insolita, e possibilmente criminale, viene poi diagnosticato un tumore al cervello oppure un qualche altro concreto problema cerebrale. In tali casi, una corte potrebbe ben decidere di trattarlo differentemente, come ha fatto una corte in Italia nel 2011.
Basandosi su evidenze genetiche, questa corte concluse che l’imputato aveva poco controllo sulle sue tendenze criminali e gli fu comminata una pena più lieve. In quel caso, io credo che la corte diede troppo peso a prove scientifiche ancora troppo deboli, ma presto le evidenze scientifiche saranno molto forti.In altri casi le neuroscienze toccheranno la legge con il tema della prevedibilità di comportamenti o malattie futuri. Se uno scan cerebrale potesse prevedere accuratamente che un particolare imputato, con alta probabilità, commetterà crimini in futuro, egli potrebbe ricevere una pena di maggiore durata.
Ma cosa succederebbe se l e neuroscienze potessero predire con ottima accuratezza quale dell’1% della popolazione generale svilupperà schizofrenia nei prossimi 15 anni oppure quale del 10-15% dei sessantenni svilupperà il morbo di Alzheimer? In che modo il sistema giuridico dovrebbe consentire l’uso di queste informazioni predittive alle scuole, alle aziende, alle assicurazioni, al governo o alle famiglie? Potremmo vedere le capacità predittive delle neuroscienze in un modo, se esse portano all’applicazione di trattamenti medici utili ma anche in modo molto diverso, se invece portano ad una discriminazione degli individui a rischio. E la legge avrà il compito di determinare quali usi sono consentiti.
Le neuroscienze ci aiuteranno a leggere il pensiero e la mente. Noi tutti esseri umani lo facciamo già, cerchiamo di capire gli altri, guardiamo i volti, ascoltiamo le voci per capire cosa gli altri “davvero” pensano. Solo che non siamo particolarmente bravi. I ricercatori oggi usano le tecniche di imaging cerebrale per identificare, con buona accuratezza, cosa gli individui i n un particolare momento stanno guardando, a cosa stanno pensando o quale braccio stanno per muovere. Ed esistono già aziende che promettono, attraverso sofisticate tecniche di imaging cerebrale, di identificare se una persona mente o se sente dolore davvero. Oggi i metodi per identificare chi mente o chi prova dolore non sono ancora sufficientemente provati e validati, ma in futuro probabilmente lo saranno.
Cosa faremo allora? Quando e come consentiremo alle aziende, alla polizia, ai giudici, alle famiglie e ad altri di invadere quello che è sempre stato, in effetti, lo spazio impenetrabile all’interno del cranio?Anche i trattamenti e i presidi medici basati sulle ricerche sul cervello prima o poi solleveranno questioni giuridiche difficili. L’esplosione delle conoscenze di oggi sul cervello sono stimolate dalla ricerca di nuove cure, nuovi farmaci, nuove forme di prevenzione per le malattie neurologiche e mentali.
Ma la più approfondita conoscenza del cervello potrebbe portare a “trattamenti” per caratteristiche che non necessariamente sono percepite come malattie. Per esempio, sarebbe giusto consentire ad una persona di avere un impianto cerebrale di elettrodi (si tratta di pace-maker cerebrali oggi utilizzati, ad esempio, per forme di morbo di Parkinson intrattabile) per contenere i suoi impulsi criminali? la sua timidezza? il suo orientamento sessuale? E dovrebbe essere consentito ad una corte, ad una famiglia o ad altra autorità di ordinare queste procedure a un “paziente” riluttante?
È ovvio, la detenzione in prigione produce alterazioni fisiche nel cervello - qualsiasi cosa può potenzialmente cambiare il cervello - e sappiamo che la detenzione in prigione non è né sicura né efficace: ma è profondamente diverso ordinare un cambiamento cerebrale con una procedura invasiva. E per ultimo, la gente continua a cercare farmaci o macchine per aumentare le proprie capacità cognitive. Quel che abbiamo a disposizione oggi non è molto più efficace della caffeina, ma domani probabilmente lo sarà. Il sistema giuridico dovrà affrontare questo problema nelle aule di giustizia: sarà consentito, oppure anche richiesto, a un testimone di prendere un farmaco che potenzia la memoria prima di una testimonianza?
Più globalmente la legge dovrà decidere se e come il potenziamento cognitivo va usato nella vita di ogni giorno. Gli studenti che usano potenziatori cognitivi sono come gli atleti che usano sostanza dopanti? oppure i potenziatori sono solo mezzi come calcolatori e computer portatili usati solo per migliorare le performance? E se il potenziamento cognitivo funzionasse davvero, allora potrebbe qualcuno -la tua azienda, i tuoi genitori, lo stato - ordinarti di usarlo? Inevitabilmente la legge dovrà fare scelte e far rispettare norme sul potenziamento.
Questi sono soltanto alcuni dei modi nei quali le neuroscienze potrebbero cambiare il diritto. Ne ho omessi molti per brevità, altri per i limiti della mia immaginazione. Sinceramente, non sono in grado di prevedere quali saranno importanti e quali no: posso sicuramente predire che le neuroscienze e il diritto si intrecceranno sempre di più. Il momento di iniziare a pensarci è adesso.
Henry T. Greely è il Direttore del Center for Law and the Biosciences dell’Università di Stanford. È docente presso la Neuroscience School of Advanced Studies, diret
ta da Luigi Pulvirenti, e presiederà il workshop: «Neuroscience, Responsibility and the Law» che si terrà a Siena dal 16 al 20 Ottobre 2017. I precedenti articoli delle serie «Neuroscienze e Società» pubblicati dalla Domenica e curati dalla Neuroscien
ce School of Advanced Studies sono di Giulio Tononi (13 Novembre 2016), Patricia Churchland (4 Dicembre 2016), John Jost (15 gennaio 2017), Christof Koch
(12 febbraio 2017)