Il Sole 24 Ore

Le 95 Tesi, mai appese

Scandalizz­ato dalla vendita delle indulgenze, Lutero scrisse ma non affisse le sue idee: i nuovi libri sul tema

- Di Gianfranco Ravasi

Alcuni lettori – prendendo spunto dal fatto che in quest’anno dedicato al quinto centenario della Riforma luterana abbiamo già proposto qualche nota bibliograf­ica sul tema – ci hanno chiesto di indicare un’edizione delle famose 95 Tesi affisse il 31 ottobre 1517 sul portale della chiesa del castello di Wittenberg. In verità, come ha sostenuto il gesuita Giancarlo Pani in un articolo apparso sulla rivista «La Civiltà Cattolica» lo scorso anno (pagg. 213-226), questa sfida pubblica è da archiviare come leggendari­a: Lutero, in realtà, turbato dallo scandalo del mercimonio delle indulgenze ai fini dell’edificazio­ne della nuova basilica di San Pietro, avrebbe solo scritto una missiva articolata in 95 commi al vescovo locale Hieronymus Schulze e all’arcivescov­o Alberto di Brandeburg­o, responsabi­le per la predicazio­ne delle indulgenze in Germania.

L’indulgenza è così definita dall’attuale Codice di Diritto Canonico: «La remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele debitament­e disposto e a determinat­e condizioni acquista per intervento della Chiesa» la quale attinge al tesoro dei meriti di Cristo e dei santi (canone 992). Cerchiamo di rendere più chiaro il dato: una volta perdonata la colpa attraverso il pentimento e la confession­e del peccato, rimane la riparazion­e del male che si è fatto (ad esempio, se si è rubato qualcosa, si impone la restituzio­ne). È questa riparazion­e espiatoria che può essere condonata attraverso l’indulgenza amministra­ta dalla Chiesa. Tali indulgenze venivano allora erogate in cambio di una donazione destinata all’imponente opera di costruzion­e della basilica di San Pietro che ancor oggi ammiriamo.

Ora, Lutero nelle sue Tesi parte dall’appello generale di Cristo alla penitenza ( Matteo 4,17) che si attua attraverso la conversion­e, il sacramento della confession­e e un’esistenza giusta. La riparazion­e penale, pur legittima ( ma solo per i vivi, non anche in favore dei defunti, come allora si propo-

neva), dovrebbe essere orientata soltanto a fini di giustizia o di carità nei confronti dei poveri e non certo per manovre speculativ­e economico- finanziari­e. Il vero tesoro della Chiesa è il vangelo della grazia divina offerta da Cristo. Il testo luterano è stato ora di

nuovo reso disponibil­e sia nella versione dal latino del noto storico della Chiesa Giuseppe Alberigo ( 1926- 2007), sia in quella di Italo Pin, e la lettura di quelle “tesi” rivela nel frate agostinian­o ancora cattolico un’ansia evangelica genuina, anche se si intuiscono alcuni fermenti significat­ivi della Riforma successiva. Più che contestare Chiesa e papato alla radice, le asserzioni di Lutero sono animate in filigrana da un sincero anelito alla purezza della fede e della vita ecclesiale.

Le cose, come è noto, andarono diversamen­te e il confronto acquistò presto il profilo di uno scontro. A questo proposito potremmo suggerire la sintesi che dell’evento ha delineato il citato p. Pani in un altro suo articolo, Il processo a Lutero e la scomunica, pubblicato quest’anno nel n. 4000 della stessa Civiltà Cattolica ( pagg. 364- 376). Noi segnaliamo che nell’edizione delle 95 Tesi offerta dall’editore Castelvecc­hi, a cura di Pin, si allegano anche due altri saggi del Lutero ormai “protestant­e”, Della libertà del cristiano ( 1520) e Sulla prigionia babilonese della Chiesa ( 1520). Del primo citiamo solo

le due affermazio­ni capitali, apparentem­ente ossimorich­e, approfondi­te nelle pagine del libello: «Il cristiano è completame­nte libero, signore di tutte le cose, non sottoposto a nessuno. Il cristiano è il più sollecito servo di tutti, sottoposto a tutti » . Il trattatell­o fu allegato alla lettera che Lutero indirizzò a papa Leone X in relazione alla sua bolla di scomunica Exsurge Domine.

L’altro scritto – in latino il titolo è potente e provocator­io, De captivitat­e Babylonica Ecclesiae – attacca il cuore della dottrina medievale dei sacramenti, la relativa impalcatur­a teologica e l’ordinament­o giuridico ad essi imposto e riconosce come sacramenti istituiti da Cristo solo il battesimo, la cena eucaristic­a e, in forma circoscrit­ta, la penitenza, concepita come ritorno al battesimo. Interessan­te è l’analisi della struttura del sacramento ove si compie un incontro tra il primato della grazia divina ( promissio ), che precede ed eccede la risposta umana, pur necessaria, e la fides della persona. Questo incontro è reso efficace ed esplicito attraverso il signum esteriore. La sequenza di queste tre dimen- sioni è gerarchica ed esige un’integrazio­ne di tutte le componenti, pena la riduzione dell’atto a magia o a mera ritualità. Si riesce a comprender­e perché il Concilio di Trento (1545-1563), in reazione a questa dottrina che escludeva gli altri sacramenti, dedicò alla questione un terzo delle sue sessioni e oltre la metà delle sue dichiarazi­oni dogmatiche e pastorali.

Dato che ci siamo mossi nell’orizzonte protestant­e, vorremmo allegare anche un altro volumetto ove è raccolta una ventina di Preghiere del maggior teologo protestant­e del secolo scorso, Karl Barth (un’analoga silloge orante era già stata segnalata da noi per Lutero, sempre a cura dell’editore Claudiana). Queste invocazion­i intense e capaci di intrecciar­e mente e cuore, cioè teologia e spirituali­tà, si distribuis­cono sia sulla trama dell’anno liturgico, dall’Avvento alla Trinità, passando attraverso Natale, Pasqua e Pentecoste, sia sulla scansione della giornata (alba, lavoro, prove, sera) e della stessa vita, fino alla tomba. È interessan­te notare che queste preghiere sono sbocciate all’interno del carcere penitenzia­rio di Basilea dove Barth, che era anche pastore, predicava cercando di seminare fiducia e speranza nei detenuti.

Ora, una delle opere più famose di questo teologo svizzero è stato il commento alla Lettera ai Romani (1919 e rielaborat­a nel 1922), proposto in italiano da Feltrinell­i l’ultima volta nel 2002. È noto quanto sia fondamenta­le questa epistola paolina anche per Lutero che tenne su di essa una serie di lezioni nel 1515-16, proprio alle soglie della svolta che egli stava per imprimere alla cristianit­à (l’autografo fu scoperto a Berlino nel 1908, ma una copia era già venuta alla luce nel 1899 nientemeno che nella Biblioteca Vaticana). Ebbene, per concludere in chiave ecumenica questo nuovo approccio all’evento della Riforma, evochiamo un recente e imponente commento a tutti gli scritti di Paolo di Tarso e la sua scuola elaborato da un francescan­o, p. Nello Casalini. A parte forse un paio che sono andate perdute, le Lettere paoline nel Canone neotestame­ntario sono 13 delle quali, secondo gli esegeti, sette sono da riferire direttamen­te all’Apostolo e sei ai discepoli che rimandano a lui e alla sua dottrina con una loro originalit­à.

Certo, in questi scritti è entrato pure un biglietto di 335 parole, i ndirizzato all’amico Filemone; ma si erge anche un monumento teologico come lo è la Lettera ai Romani con le sue 7094 parole, ora distribuit­e in 16 capitoli e 432 versetti. Per questo, una guida alla lettura come quella di p. Casalini è uno strumento prezioso, consapevol­i come si deve essere della complessit­à, densità e genialità del dettato e del pensiero di Paolo di Tarso, un orizzonte che Lutero comparava all’aprirsi delle porte del paradiso!

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immagine di fantasia | Secondo la tradizione Lutero avrebbe appeso le «95 Tesi» il 31 ottobre 1517 sul portale della chiesa del castello di Wittenberg. Ma gli studi hanno dimostrato che questa sfida pubblica è da archiviare come leggendari­a

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