La Chiesa raccontata dai fatti
Scrive redi Giovanni Miccoli appena dopo aver appreso della sua morte non è davvero facile: soprattutto per quanti (tanti) hanno condiviso con lui parte di una lunga stagione della storiografia italiana e da lui hanno imparato molto, moltissimo.
Giovanni Miccoli nasce a Trieste nell’agosto del 1933 e la sua attività di studioso si svolge lungo sei decenni, da metà degli anni Cinquanta del Novecento sino a poco tempo fa. Perciò renderne conto, per quanto in modo sintetico, è impossibile nel contenuto spazio di un articolo di giornale. Altre sono le sedi per una tale operazione. Qui ci si limiterà a ricordare alcuni frammenti significativi di una “produzione” assai estesa: la Bibliografia di Giovanni Miccoli, curata da Giuseppe Battelli, per gli anni che vanno dal 1953 al 2005 elenca ben 322 titoli (e quindi a essa occorrerà aggiungere le pubblicazioni del successivo decennio).
La produzione di Miccoli è estesa non solo quantitativamente, ma anche dal punto di vista tematico e temporale. Egli inizia come medievista e, dopo un decennio, allarga il suo interesse dalla Chiesa romana del pieno medioevo alla Chiesa Cattolica del secolo XX, affrontando il tema scottante delle relazioni fra Santa Sede e Terzo Reich, che egli continuerà a coltivare fino all’importante volume su I dilemmi e i silenzi di Pio XII, edito da Rizzoli nel 2000. Storia ecclesiastica e religiosa del medioevo e dell’età contemporanea: ecco gli ambiti di ricerca privilegiati e perseguiti con costanza e coerenza da Giovanni Miccoli, secondo un approccio metodologico che si rifaceva «ai presupposti e ai metodi di lettura e di analisi della scuola storica positiva», che implicava il rifiuto, «nel suo impegno di vaglio e di ricostruzione storica», di «confusioni e contaminazioni con criteri, linguaggi e composizioni di altra matrice e di diversa finalità».
Ciò significa, tra l’altro, «guardare sempre alle fonti prima che alla storiografia». I risultati di tale premessa – risultati di assoluto valore – hanno assai significative manifestazioni nella grande sintesi sulla storia religiosa d’Italia dall’alto medioevo al secolo XVI (per la famosa Storia d’Italia einaudiana) e nei saggi su Francesco d'Assisi raccolti in un fondamentale lavoro edito da Einaudi nel 1991. Ma già i futuri risultati si potevano prevedere riandando alle primissime ricerche degli anni cinquanta del Novecento, nelle quali un giovanissimo Miccoli pubblica due studi assolutamente originali e ripieni di progettualità: l’uno sulla fortuna di fra’ Dolcino e l’altro sul problema delle ordinazioni simoniache e le sinodi lateranensi del 1060 e 1061. Era il 1956 e un giovane poco più che ventenne dava il suo decisivo contributo alla medievistica italiana che stava per vivere una stagione assai feconda con altri studiosi di assoluto valore quali Giovanni Tabacco e Cinzio Violante (più anziani di lui), oltre che con l’altro “giovane” medievista Ovidio Capitani.
Tuttavia, a differenza degli altri, Giovanni Miccoli non si concentra sull’età di mezzo, ma collega questo suo originario interesse con quello per la Chiesa cattolica contemporanea. Occorrerebbero non poche parole per illustrare siffatto duplice interesse, affrontando in modo specifico la forte personalità di Giovanni Miccoli. Basti ricordare le sue convinzioni così sulla «funzione civile della ricerca storica », come sul fatto che, indipendentemente dalla propria militanza politica, religiosa o ideologica, lo studioso di storia debba fare «lealmente e con onestà intellettuale il proprio mestiere: un mestiere che non ammette finalità allotrie, che ha nella conoscenza del passato il proprio unico fine».