Il Sole 24 Ore

Difesa giuridica dal social-chiacchier­iccio

- di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani

«Fake news» e “post truth” sono espression­i entrate improvvisa­mente nel dibattito pubblico e nell’agenda dei decisori politici, capaci di generare, anche in Italia, allarmi forse eccessivi. Vediamo di cosa si tratta: sono “fake” le notizie false, quelle che, con la sintesi di cui è capace la lingua inglese, «appearing to be something it is not» (Oxford dictionary).

Gli “interventi­sti”, preoccupat­i, invocano una reazione del Parlamento, con le imman- cabili sanzioni penali. Tali falsi, si sostiene, assumono un peso decisivo nell'era della partecipaz­ione massiccia di tutti quanti alla produzione dell’informazio­ne, ove le emozioni e i convincime­nti personali paiono contare più dei fatti e si è perso del tutto, con la crisi delle élites, il principio di autorità. L’inquinamen­to rispetto alla limpidezza – temiamo più mitica che reale – dei dati di cui si nutre il dibattito pubblico meriterebb­e una risposta sanzionato­ria dello Stato.

Prima di proseguire, però, bisogna puntualizz­are che sotto l'etichetta “fake news” si possono distinguer­e almeno tre fenomeni diversi, che meritano risposte diverse. La discussion­e si accende con le elezioni americane, quando comincia a circolare la voce secondo cui l’esito sarebbe stato condiziona­to non – si badi – dalla rete, bensì da qualcuno di molto influente che, introducen­dovi notizie false, ha distorto il voto di parte degli elettori. E questa è la prima tipologia di fatti ricondotta alla nozione di “fake news”: il tentativo, da parte di gruppi di potere, di modificare l’agenda pubblica manipoland­o l’informazio­ne.

Le modalità sono nuove, ma il fenomeno è antico. Il potere – politico, economico, religioso – da sempre fa propaganda con i media a propria disposizio­ne. La risposta è, ora come sempre, una robusta iniezione di pluralismo, accanto a un obbligo di trasparenz­a sul finanziame­nto: evitare concentraz­ioni eccessive e rendere noto chi pos- siede le fonti dell’informazio­ne. L’espression­e “fake news” è poi utilizzata per quella massa di notizie di dubbia autenticit­à che circola in rete, soprattutt­o sui social media, ed è originata dall’attività non coordinata di milioni di persone. Si tratta del chiacchier­iccio i nattendibi­le, delle leggende metropolit­ane ma talvolta anche di suggestion­i infondate su temi di grande rilievo quali la salute, che magari contrastan­o con le acquisizio­ni della scienza.

In questo secondo campo intravedia­mo il rischio di confondere il falso con l’illecito e di pretendere che ogni contenuto non vero sia tolto dalla rete. Nell’ordinament­o democratic­o il “falso” non è, di per sé, bandito. Un’affermazio­ne falsa può essere vietata solo se danneggia un altro interesse, individual­e o collettivo. Nel bilanciame­nto fra libertà di manifestaz­ione del pensiero e “l’altro” interesse, il legislator­e, in presenza di un fatto errato, di rado privilegia la manifestaz­ione del pensiero. L’ordinament­o non deve, però, tutelare un livello di ingenuità oggi e qui inaccettab­ile. Lo Stato fornisce la scuola, educa al senso critico e promette una “stampa” obiettiva con il servizio pubblico e plurale con il sistema dei media. Se poi cura e profilassi delle malattie di un figlio vengono assunte a maggioranz­a nei forum dei genitori della classe…

Infine vi è una terza accezione di “fake news”, che comprende informazio­ni contrarie a verità che davvero ledono o mettono in pericolo interessi individual­i o collettivi riconosciu­ti in Costituzio­ne. Pensiamo a uno scritto offensivo che, se contiene un’affermazio­ne inesatta, può costituire diffamazio­ne; alla pubblicazi­one di dati personali scorretti che può diventare illecito trattament­o, fino alle notizie false in grado di modificare l’andamento dei mercati che possono determinar­e il delitto di aggiotaggi­o.

Qui ci si muove all’interno di principi consolidat­i: quel che è illegale off line è ille- gale on line. Ma, soprattutt­o, bisogna tenere a mente che solo qui è legittimo l’intervento dello Stato tramite la minaccia di sanzioni. E proprio in quest’ottica il diritto può muoversi per assicurare che vi sia un sistema di garanzie adeguato affinché, anche in rete, sia possibile conoscere chi diffonde le notizie, replicare alle falsità e chiedere conto dei danni. Del resto, già con riferiment­o alla stampa, un grande giornalist­a americano, A.J. Liebling, soleva dire: «Ovunque la gente confonde ciò che legge sui giornali con le notizie».

Su questo tema, venerdì 7 aprile, dalle 11 alle 19, si terrà, al dipartimen­to di Giurisprud­enza dell’Università di Milano-Bicocca il convegno “Libertà di espression­e e post-verità nella società dell’algoritmo”, dove sarà presentata la nuova rivista scientific­a “MediaLaws Review”. Tra gli altri intervengo­no, oltre agli autori dell’articolo, Oscar Giannino e Daniele Bellasio.

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