Difesa giuridica dal social-chiacchiericcio
«Fake news» e “post truth” sono espressioni entrate improvvisamente nel dibattito pubblico e nell’agenda dei decisori politici, capaci di generare, anche in Italia, allarmi forse eccessivi. Vediamo di cosa si tratta: sono “fake” le notizie false, quelle che, con la sintesi di cui è capace la lingua inglese, «appearing to be something it is not» (Oxford dictionary).
Gli “interventisti”, preoccupati, invocano una reazione del Parlamento, con le imman- cabili sanzioni penali. Tali falsi, si sostiene, assumono un peso decisivo nell'era della partecipazione massiccia di tutti quanti alla produzione dell’informazione, ove le emozioni e i convincimenti personali paiono contare più dei fatti e si è perso del tutto, con la crisi delle élites, il principio di autorità. L’inquinamento rispetto alla limpidezza – temiamo più mitica che reale – dei dati di cui si nutre il dibattito pubblico meriterebbe una risposta sanzionatoria dello Stato.
Prima di proseguire, però, bisogna puntualizzare che sotto l'etichetta “fake news” si possono distinguere almeno tre fenomeni diversi, che meritano risposte diverse. La discussione si accende con le elezioni americane, quando comincia a circolare la voce secondo cui l’esito sarebbe stato condizionato non – si badi – dalla rete, bensì da qualcuno di molto influente che, introducendovi notizie false, ha distorto il voto di parte degli elettori. E questa è la prima tipologia di fatti ricondotta alla nozione di “fake news”: il tentativo, da parte di gruppi di potere, di modificare l’agenda pubblica manipolando l’informazione.
Le modalità sono nuove, ma il fenomeno è antico. Il potere – politico, economico, religioso – da sempre fa propaganda con i media a propria disposizione. La risposta è, ora come sempre, una robusta iniezione di pluralismo, accanto a un obbligo di trasparenza sul finanziamento: evitare concentrazioni eccessive e rendere noto chi pos- siede le fonti dell’informazione. L’espressione “fake news” è poi utilizzata per quella massa di notizie di dubbia autenticità che circola in rete, soprattutto sui social media, ed è originata dall’attività non coordinata di milioni di persone. Si tratta del chiacchiericcio i nattendibile, delle leggende metropolitane ma talvolta anche di suggestioni infondate su temi di grande rilievo quali la salute, che magari contrastano con le acquisizioni della scienza.
In questo secondo campo intravediamo il rischio di confondere il falso con l’illecito e di pretendere che ogni contenuto non vero sia tolto dalla rete. Nell’ordinamento democratico il “falso” non è, di per sé, bandito. Un’affermazione falsa può essere vietata solo se danneggia un altro interesse, individuale o collettivo. Nel bilanciamento fra libertà di manifestazione del pensiero e “l’altro” interesse, il legislatore, in presenza di un fatto errato, di rado privilegia la manifestazione del pensiero. L’ordinamento non deve, però, tutelare un livello di ingenuità oggi e qui inaccettabile. Lo Stato fornisce la scuola, educa al senso critico e promette una “stampa” obiettiva con il servizio pubblico e plurale con il sistema dei media. Se poi cura e profilassi delle malattie di un figlio vengono assunte a maggioranza nei forum dei genitori della classe…
Infine vi è una terza accezione di “fake news”, che comprende informazioni contrarie a verità che davvero ledono o mettono in pericolo interessi individuali o collettivi riconosciuti in Costituzione. Pensiamo a uno scritto offensivo che, se contiene un’affermazione inesatta, può costituire diffamazione; alla pubblicazione di dati personali scorretti che può diventare illecito trattamento, fino alle notizie false in grado di modificare l’andamento dei mercati che possono determinare il delitto di aggiotaggio.
Qui ci si muove all’interno di principi consolidati: quel che è illegale off line è ille- gale on line. Ma, soprattutto, bisogna tenere a mente che solo qui è legittimo l’intervento dello Stato tramite la minaccia di sanzioni. E proprio in quest’ottica il diritto può muoversi per assicurare che vi sia un sistema di garanzie adeguato affinché, anche in rete, sia possibile conoscere chi diffonde le notizie, replicare alle falsità e chiedere conto dei danni. Del resto, già con riferimento alla stampa, un grande giornalista americano, A.J. Liebling, soleva dire: «Ovunque la gente confonde ciò che legge sui giornali con le notizie».
Su questo tema, venerdì 7 aprile, dalle 11 alle 19, si terrà, al dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Milano-Bicocca il convegno “Libertà di espressione e post-verità nella società dell’algoritmo”, dove sarà presentata la nuova rivista scientifica “MediaLaws Review”. Tra gli altri intervengono, oltre agli autori dell’articolo, Oscar Giannino e Daniele Bellasio.