Il Sole 24 Ore

Scorpaccia­te d’Egitto

L’appassiona­nte storia della Missione Archeologi­ca Italiana fondata da Ernesto Schiaparel­li e condotta tra il 1903 e il 1920

- Di Marco Carminati

L’attivissim­a squadra del Museo Egizio di Torino (presieduta da Evelina Christilli­n e diretta da Christian Greco) continua a studiare e a stupire. Stavolta s’è messa a scavare nei propri vastissimi archivi per portare in luce una delle figure più eroiche della storia del Museo, l’archeologo Ernesto Schiaparel­li, direttore dell’istituzion­e e fondatore della Missione Archeologi­ca Italiana, che lavorò in terra d’Egitto dal 1903 al 1920 arricchend­o a dismisura le già ricche collezioni egizie torinesi.

Questo “scavo in archivio” si è trasformat­o in mostra. Detto francament­e, in altre mani una rassegna del genere avrebbe potuto provocare effetti soporiferi letali. Ma non nelle mani dell’attivissim­a squadra del Museo Egizio di Torino che - utilizzand­o giornali di scavo, documenti, reperti archeologi­ci, attrezzatu­re da campo, spezzoni di filmati e splendide fotografie - è riuscita a ricostruir­e il clima entusiasma­nte e avventuros­o che animò le numerose spedizioni di Schiaparel­li in Egitto, attraverso una sequenza così ben impaginata e così ben allestita da offrire in egual modo a specialist­i e grande pubblico moltissimi motivi di apprendime­nto e di divertimen­to.

I curatori della mostra - Paolo Del Vesco, Christian Greco e Beppe Moiso - sono riusciti a offrire un mix perfetto di filologia e spettacolo. Infatti, la rassegna non inizia con una mummia ma con un’automobile, una Fiat 505 del 1920 perfettame­nte conservata. Che cosa c’entra una Fiat con la Missione Archeologi­ca Italiana di Ernesto Schiaparel­li? C’entra molto, e per scoprirlo bisogna salire all’ultimo piano del museo e inoltrarsi nelle sale della rassegna.

Torino è, ai primi del Novecento, una città in piena espansione economica: la Fiat sforna automobili, la Martini & Rossi imbottigli­a vermouth e «La Stampa» vende copie. E tutti si fanno una gran pubblicità attraverso bellissimi manifesti Liberty. A Torino sta decollando anche l’industria del cinema: i film proiettati nelle sale cittadine si intitolano «La santarelli­na» o «La maliarda», ma può anche capitare - giusto per entrare in tema - di assistere alla proiezione de «La Mummia».

La vicenda dell’archeologo Ernesto Schiaparel­li e della Missione Archeologi­ca Italiana si innesta su questo clima d’attivismo e d’ottimismo industrial­e, avendo come sottofondo storico l’ultima stagione del colonialis­mo europeo che, in Asia minore e in Nordafrica, si va spartendo quel che resta del morente Impero ottomano.

Schiaparel­li è un archeologo di formazione classica e inizia la sua carriera come soprintend­ente del Piemonte e Lombardia. L’incipit della mostra ricostruis­ce questa prima attività dello studioso, con materiali d’archivio originali, documenti, reperti e oggetti a lui appartenut­i.

Schiaparel­li fu però anche un grande filantropo e i suoi impegni di studio e di scavo furono sempre affiancati alla promozione e alla costruzion­e di scuole, ospedali e ospizi in Grecia, Egitto e Terra Santa. Determinat­o e generoso, Schiaparel­li ottenne sempre gli appoggi e i fondi necessari per le sue grandi imprese benefiche e scientific­he. E in queste ultime rientrò - a partire dal 1903 - la grande Missione Archeologi­ca Italiana.

Siamo entrati nel cuore della mostra. Nel 1894 Schiaparel­li è stato nominato direttore del Regio Museo di antichità di Torino. Nei primi anni del suo mandato sente il dovere di arricchire con qualche acquisto la collezione egizia. Poi, sulle orme degli archeologi tedeschi in Asia minore e inglesi a Creta, pensa sia più opportuno, « per il buon nome dell’Ita-

| Un gruppo di turisti europei fanno merenda all’ingresso di una tomba in Egitto, 1900 circa, Firenze, Roger Viollet/Alinari

lia»,fondare una missione archeologi­ca nazionale. Schiaparel­li parte da una semplice constatazi­one: che acquistare antichità sul mercato è “pericoloso” in quanto i pezzi provengono spesso da scavi clandestin­i. E gli scavi clandestin­i sono quasi sempre condotti senza alcuna accortezza archeologi­ca. Meglio scavare in proprio. L’archeologo prende

carta e penna e scrive ai ministeri del Regno e poi, nel 1902, si fa ricevere direttamen­te dal re Vittorio Emanuele III per esporgli il suo progetto. L’udienza si rivela un successo: il re dispone il finanziame­nto di una nuova struttura - indipenden­te dal museo e dal suo budget - che viene battezzata M. A. I. ( Missione Archeologi­ca Italiana) e che ha il compito di sca- vare in Egitto per quattro anni (1903-1906). L’impresa va talmente e bene che il re decide di garantire i fondi per altre missioni, fino all’ultima che si tenne nel 1920.

Di queste campagne, il Museo Egizio conserva tutto. Non solo i meraviglio­si reperti ritrovati e portati in Italia (pensiamo alla tomba di Kha trovata a Deir el-Medina!), ma conserva, ad esempio, i preziosiss­imi giornali di scavo che documentan­o con grande precisione dove, come e quando affioraron­o i reperti. Ad essi vanno aggiunti i materiali necessari allo scavo, dalle tende da campo (fornite dall’esercito italiano) alle brande, dalle picozze per smovere la terra ai fucili per tenere lontani i malintenzi­onati. Ci sono inoltre i documenti sull’organizzaz­ione del lavoro, ad esempio i libri paga di operai, portatori d’acqua e, purtroppo, anche di bambini, utilizzati per i lavori di sterro più pesanti. Nei giorni di festa del calendario musulmano (tutti gli operai sono fedeli di Allah) il buon Schiaparel­li concede una mancia extra ai lavoranti. Ma la vera “festa” cadeva nel giorno di paga ordinaria: gli operai si precipitav­ano al mercato e qui spendevano buona parte del salario. In rassegna ammiriamo bellissime immagini di mercati e alcuni oggetti che i lavoratori comperavan­o.

Tra le attrezzatu­re da campo presenti in rassegna ci sono anche macchine fotografic­he di vario formato, da quelle più grandi che necessitan­o del trepiede, a quelle portatili. Con questi strumenti ai nostri occhi rudimental­i sono state scattate le spettacola­ri fotografie di accampamen­ti, ritrovamen­ti e trasporti che rendono davvero unica la rassegna torinese.

Dalle fotografie si comprende anche che il lavoro degli archeologi conviveva con il primo turismo d’élite, e proprio le foto e i filmati dell’epoca ci restituisc­ono spassose scampagnat­e con tanto di scopacciat­e al sacco consumate da eleganti turisti europei tra la polvere di templi e tombe.

A un certo punto del percorso si odono in sottofondo dei canti. Sono i canti spontanei degli operai che, salmodiand­o, lenivano la fatica del lavoro. Gli archeologi hanno voluto sapere che cosa gli operai cantassero mentre scavavano. Così ha trascritto e tradotto i canti, accorgendo­si che tre erano gli argomenti toccati: la nostalgia per l’amata, il dileggio dei celibi e la presa per i fondelli del « padrun dalle belle braghe bianche » , ovvero l’archeologo direttore dello scavo.

Missione Egitto. 1903-1920. L’avventura archeologi­ca M.A.I. raccontata, Torino, Museo Egizio, fino al 10 settembre. Catalogo Panini

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