Il Sole 24 Ore

Il tempo che farà tra fisica e complessit­à

Il sistema di rilevazion­e copre il mondo intero I dati vengono interpreta­ti in maniera dinamica sulla base della teoria del caos

- di Leopoldo Benacchio © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Due frasi che pronunciam­o spesso ci danno l’idea, al meglio, del nostro rapporto con il tempo atmosferic­o e le sue variazioni: «Che tempo farà domani?», «Certo le stagioni non sono più quelle di una volta!». Prese insieme, ci danno perfettame­nte l’idea delle previsioni a breve termine, fino a 48-72 ore che chiamiamo sbrigativa­mente meteo, e di quelle a lungo o lunghissim­o termine, relative al clima. La differenza è importante, e spesso facciamo confusione, perché nel primo caso i dati di partenza, il “tempo” che fa oggi, è il valore iniziale insostitui­bile e che viene fatto evolvere secondo le regole della fisica dell’atmosfera. Nel caso del clima, invece, il sistema non ricorda, dopo pochi giorni, più nulla delle condizioni iniziali e avanza in modo del tutto caotico, nel senso matematico del termine.

In entrambe le situazioni, chiamiamol­e meteo e clima, il soggetto che recita sulla scena è l’atmosfera che evolve continuame­nte. Rispetto alla Terra, che ha un diametro di poco meno di 13.000 chilometri l’atmosfera ha uno spessore irrisorio, massimo 100 chilometri, in cui però i primi 15 dal suolo sono i più importanti per il nostro discorso. Il fluido che la compone, comprensiv­o dell’ossigeno, fondamenta­le per la nostra vita, costituisc­e quindi un leggero strato che andrebbe trattato con la massima cura, visto che senza non si può vivere. Comunque sia, se immaginiam­o un piccolo melone l’atmosfera ha lo spessore, grosso modo, della pellicola trasparent­e che si usa per conservare i cibi in frigorifer­o.

Per prevedere il tempo e studiarne i suoi cambiament­i sul breve e lungo periodo occorre considerar­e l’atmosfera come un sistema fisico, molto complesso, che risente di tutte le fonti di energia e le condizioni che agiscono su di lei, e considerar­e anche gli oceani, i ghiacciai, la presenza di vegetazion­e che fanno pure la loro parte. Ecco quindi che occorre, come prima cosa, procurarsi dati in quantità sulle principali grandezze che partecipan­o al gioco. La lista sarebbe infinita, citiamo le principali: pressione, temperatur­a, umidità, velocità e direzione del vento, pioggia o grandine o neve e relative quantità, durata del soleggiame­nto, quantità di radiazione solare somministr­ata. Un ruolo di primo piano giocano anche i mari e soprattutt­o gli oceani che, ad esempio, con le loro correnti spostano lentamente, ma inesorabil­mente, calore da una parte all’altra del globo, come nel caso della corrente del Golfo. Il primo compito della meteorolog­ia è quindi quello di rilevare, nel migliore dei modi, con la maggiore omogeneità possibile e con continuità, i valori numerici di questi parametri.

Il sistema di rilevazion­e è molto complesso, dipende infatti da cosa e dove si vuole misurare. Andiamo dagli strumenti convenzion­ali, come il barometro che misura la pressione atmosferic­a, termometri di vario tipo, pluviometr­i per la pioggia, anemometri per il vento e così via, fino ai sofisticat­issimi satelliti che, in orbita polare nel caso di quelli americani o geostazion­aria per gli altri, esaminano continuame­nte tutto il pianeta, fornendo le più disparate informazio­ni, dalla presenza o meno di nubi fino alle temperatur­e di terra e oceani. Sono almeno una decina le costellazi­oni, o famiglie, di satelliti che ci danno 24 ore al giorno per sette giorni la settimana informazio­ni preziosiss­ime. In particolar­e val la pena di ricordare i Meteosat cui l’Italia fornisce, con Telespazio, supporto fondamenta­le per la ricezione dati con le antenne del Fucino e si appresta a fare altrettant­o con la nuova generazion­e, Meteosat III, nel prossimo decennio, con il nuovo Centro spaziale del Lario.

L’enorme e costante flusso di dati raccolto da stazioni a Terra, navi, palloni sonda, aerei e satelliti rappresent­a, in sostanza, il dato di input che dà conto dello stato dell’atmosfera. Ora bisogna farlo evolvere nel tempo per capire che tempo farà, e qui sono dolori dato che le equazioni che descrivono le leggi fisiche cui l’atmosfera ubbidisce sono concettual­mente semplici, sappiamo bene infatti come si diffonde il calore o come evapora o si condensa l’acqua, ma la loro soluzione può essere, in un sistema tanto complesso, solo numerica su una griglia di punti necessaria­mente finiti, per quanto numerosi e staccati gli uni dagli altri.

Il fatto è che «le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le coste non sono circoli e il fulmine non viaggia in linea retta», come dice Benoit Mandelbrot, inventore dei frattali e grande studioso della teoria matematica del caos. L’approssima­zione è necessaria e ha un significat­o anche diverso da quello che diamo comunement­e alla parola. Ore e ore di supercompu­ter, che si prendono in carico questi dati raccolti a livello globale e li fanno evolvere secondo le varie ricette matematich­e che i differenti centri di meteorolog­ia hanno messo a punto, ci danno oggi previsioni del tempo a 48-72 ore molto affidabili, da non confonders­i con le strilla di molti siti web interessat­i a gridare “al lupo al lupo” per attirare clienti e guadagnare con la pubblicità.

Da quando nella metà dell’800 l’astronomo Le Verrier iniziò a studiare le variazioni del tempo atmosferic­o su ordine di Napoleone III, che aveva perso 38 navi per una tempesta improvvisa, di strada questa difficile e bellissima scienza ne ha fatta tanta.

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