Il tempo che farà tra fisica e complessità
Il sistema di rilevazione copre il mondo intero I dati vengono interpretati in maniera dinamica sulla base della teoria del caos
Due frasi che pronunciamo spesso ci danno l’idea, al meglio, del nostro rapporto con il tempo atmosferico e le sue variazioni: «Che tempo farà domani?», «Certo le stagioni non sono più quelle di una volta!». Prese insieme, ci danno perfettamente l’idea delle previsioni a breve termine, fino a 48-72 ore che chiamiamo sbrigativamente meteo, e di quelle a lungo o lunghissimo termine, relative al clima. La differenza è importante, e spesso facciamo confusione, perché nel primo caso i dati di partenza, il “tempo” che fa oggi, è il valore iniziale insostituibile e che viene fatto evolvere secondo le regole della fisica dell’atmosfera. Nel caso del clima, invece, il sistema non ricorda, dopo pochi giorni, più nulla delle condizioni iniziali e avanza in modo del tutto caotico, nel senso matematico del termine.
In entrambe le situazioni, chiamiamole meteo e clima, il soggetto che recita sulla scena è l’atmosfera che evolve continuamente. Rispetto alla Terra, che ha un diametro di poco meno di 13.000 chilometri l’atmosfera ha uno spessore irrisorio, massimo 100 chilometri, in cui però i primi 15 dal suolo sono i più importanti per il nostro discorso. Il fluido che la compone, comprensivo dell’ossigeno, fondamentale per la nostra vita, costituisce quindi un leggero strato che andrebbe trattato con la massima cura, visto che senza non si può vivere. Comunque sia, se immaginiamo un piccolo melone l’atmosfera ha lo spessore, grosso modo, della pellicola trasparente che si usa per conservare i cibi in frigorifero.
Per prevedere il tempo e studiarne i suoi cambiamenti sul breve e lungo periodo occorre considerare l’atmosfera come un sistema fisico, molto complesso, che risente di tutte le fonti di energia e le condizioni che agiscono su di lei, e considerare anche gli oceani, i ghiacciai, la presenza di vegetazione che fanno pure la loro parte. Ecco quindi che occorre, come prima cosa, procurarsi dati in quantità sulle principali grandezze che partecipano al gioco. La lista sarebbe infinita, citiamo le principali: pressione, temperatura, umidità, velocità e direzione del vento, pioggia o grandine o neve e relative quantità, durata del soleggiamento, quantità di radiazione solare somministrata. Un ruolo di primo piano giocano anche i mari e soprattutto gli oceani che, ad esempio, con le loro correnti spostano lentamente, ma inesorabilmente, calore da una parte all’altra del globo, come nel caso della corrente del Golfo. Il primo compito della meteorologia è quindi quello di rilevare, nel migliore dei modi, con la maggiore omogeneità possibile e con continuità, i valori numerici di questi parametri.
Il sistema di rilevazione è molto complesso, dipende infatti da cosa e dove si vuole misurare. Andiamo dagli strumenti convenzionali, come il barometro che misura la pressione atmosferica, termometri di vario tipo, pluviometri per la pioggia, anemometri per il vento e così via, fino ai sofisticatissimi satelliti che, in orbita polare nel caso di quelli americani o geostazionaria per gli altri, esaminano continuamente tutto il pianeta, fornendo le più disparate informazioni, dalla presenza o meno di nubi fino alle temperature di terra e oceani. Sono almeno una decina le costellazioni, o famiglie, di satelliti che ci danno 24 ore al giorno per sette giorni la settimana informazioni preziosissime. In particolare val la pena di ricordare i Meteosat cui l’Italia fornisce, con Telespazio, supporto fondamentale per la ricezione dati con le antenne del Fucino e si appresta a fare altrettanto con la nuova generazione, Meteosat III, nel prossimo decennio, con il nuovo Centro spaziale del Lario.
L’enorme e costante flusso di dati raccolto da stazioni a Terra, navi, palloni sonda, aerei e satelliti rappresenta, in sostanza, il dato di input che dà conto dello stato dell’atmosfera. Ora bisogna farlo evolvere nel tempo per capire che tempo farà, e qui sono dolori dato che le equazioni che descrivono le leggi fisiche cui l’atmosfera ubbidisce sono concettualmente semplici, sappiamo bene infatti come si diffonde il calore o come evapora o si condensa l’acqua, ma la loro soluzione può essere, in un sistema tanto complesso, solo numerica su una griglia di punti necessariamente finiti, per quanto numerosi e staccati gli uni dagli altri.
Il fatto è che «le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le coste non sono circoli e il fulmine non viaggia in linea retta», come dice Benoit Mandelbrot, inventore dei frattali e grande studioso della teoria matematica del caos. L’approssimazione è necessaria e ha un significato anche diverso da quello che diamo comunemente alla parola. Ore e ore di supercomputer, che si prendono in carico questi dati raccolti a livello globale e li fanno evolvere secondo le varie ricette matematiche che i differenti centri di meteorologia hanno messo a punto, ci danno oggi previsioni del tempo a 48-72 ore molto affidabili, da non confondersi con le strilla di molti siti web interessati a gridare “al lupo al lupo” per attirare clienti e guadagnare con la pubblicità.
Da quando nella metà dell’800 l’astronomo Le Verrier iniziò a studiare le variazioni del tempo atmosferico su ordine di Napoleone III, che aveva perso 38 navi per una tempesta improvvisa, di strada questa difficile e bellissima scienza ne ha fatta tanta.