Il Sole 24 Ore

Il car sharing tra privati ridisegna la mobilità urbana

Il car sharing tra privati ridisegna la mobilità urbana. Anche tra le case automobili­stiche c’è chi non teme il cambiament­o

- di Antonio Larizza

Da qualche settimana, a Berlino e Bonn, i proprietar­i di Smart possono facilmente condivider­e la loro auto con gli amici. Lo fanno via smartphone e senza bisogno di passarsi fisicament­e le chiavi, grazie alla tecnologia «Smart ready to share», che sfrutta le connession­i di bordo presenti in vettura. A regime, il servizio sarà attivo in 29 città tedesche. Il fatto che Daimler – proprietar­ia del marchio Smart – guardasse con interesse all’evoluzione del car sharing in chiave peer to peer, era apparso chiaro già con l’annuncio dell’accordo tra Mercedes-Benz e Getaround, società di car sharing tra privati di San Francisco.

Il caso Daimler non è isolato. Peugeot ha stretto accordi con Koolicar: grazie a questa partnershi­p, dallo scorso 31 gennaio, in Francia, ogni proprietar­io di Peugeot può offrire in noleggio il proprio veicolo quando non è utilizzato. L’auto progettata per essere utilizzata in modo condiviso ha poi convinto anche Geely. La casa cinese che possiede Volvo ha lanciato il nuovo marchio Lynk & Co, annunciand­o il modello «01», che unendo connession­e e software dedicato permette l’uso condiviso tra più persone, non solo familiari.

Su questo fronte, le case tradiziona­li sembrano più avanti anche della Tesla di Elon Musk, che comunque sta preparando il «Tesla network». Già oggi, in fase di ordine, è possibile configurar­e ogni Tesla in modo che possa essere noleggiata a conoscenti ed estranei, anche in questo caso con la possibilit­à di incassare denaro per il servizio fornito.

Come gli altri trend che riguardano il futuro dell’automobile – autonoma, connessa, elettrica – anche quello che si sviluppa intorno all’idea di auto condivisa sta evolvendo. Il car sharing come lo conosciamo oggi è considerat­o un modello classico, in uso in molte città, anche in Italia: con 2.095 vetture, Milano è la terza città al mondo per offerta di veicoli in car sharing, dopo Berlino e Vancouver, che vantano rispettiva­mente 2750 e 2.275 veicoli. Enjoy, car2go, DriveNow: società private acquistano un numero di veicoli da lasciare “liberi” in città, pronti all’uso per i loro clienti, con una formula che è molto simile al noleggio ma con procedure velocissim­e. Conosciuto come car sharing centralizz­ato, questo modello non è sempre privo di difetti: genera sì un business sostenibil­e, ma soprattutt­o in grandi aree metropolit­ane; per questo, se applicato in realtà meno estese, offre ritorni economici dubbi per gli investitor­i.

C’è poi il modello “aperto”, quello del car sharing peer to peer: la condivisio­ne avviene tra privati. «La macchina – spiega Sergio Savaresi, docente al corso Automation and control in vehicles al Polimi – è sempre di proprietà. Il proprietar­io però decide di metterla “all’attivo”, condividen­dola in cambio di un ritorno economico. Spesso è la seconda auto». Gli scenari possibili sono tre: «Decido di condivider­e l’auto con tutti, con gruppi chiusi (condominio, via, quartiere, ecc.) o all’interno di un’organizzaz­ione, configuran­do in questo caso un salto logico anche per le flotte aziendali, almeno quelle impostate sul concetto di uso esclusivo del mezzo assegnato».

Il modello insegue una soluzione per quello che gli esperti chiamano “il dilemma del capo famiglia”. Quale auto acquistare? Quella adatta agli spostament­i più frequenti (brevi, in città) non sempre è adatta nei week-end, in vacanza o per le lunghe trasferte. «Oggi – spiega Savaresi – il dilemma è spesso (non) risolto acquistand­o l’auto capace di rispondere ai massimi bisogni, soprattutt­o in termini di capacità di carico».Più l’area è ad alta densità abitativa, più aumentano le potenziali­tà del car sharing tra privati. Le esperienze non mancano: oltre alle già citate Getaround e Koolicar, il car sharing peer to peer è cresciuto intorno a società come Tamyca, Wego, Car next door, Drivemycar, Drivy e Papazz.

Restano però esperienze limitate, con ostacoli, oltre che culturali, anche tecnologic­i. «Fare car sharing con lo scambio fisico delle chiavi – spiega Savaresi – è inefficien­te. Rendere l’auto apribile con una chiave elettronic­a è una condizione indispensa­bile per l’evoluzione delle modalità di condivisio­ne di un veicolo». Per rendere “teleapribi­le” una vettura bisogna però modificarn­e l’elettronic­a: cosa che ha dei costi e non sempre è possibile: dipende dalla volontà dei costruttor­i.

Eppure qualcosa si muove. Gli esempi di Daimler, Peugeot, Tesla e Geely dimostrano che l’evoluzione del car sharing in una nuova formula che vede il cliente come nodo attivo del servizio muove non solo le iniziative locali di community isolate, ispirate più dai valori dell’economia circolare che da quelli del business, ma anche gli interessi dalle grandi case automobili­stiche che, peraltro, sono già ben posizionat­e nel business del car sharing classico: è il caso di Daimler (car2go), BmwMini (DriveNow), Fca (Enjoy), Toyota (Evo Car Share) e Psa (Emov).

«Il car sharing – spiega Andrea Striglio, chief financial officer di Fiat, incontrato da Nòva in occasione del Sap executive summit 2017 - sarà sempre più una forma collateral­e della mobilità. Come produttori, siamo interessat­i all’idea di estrarre valore dai servizi che una vettura connessa può offrire». «Soprattutt­o in un mercato maturo come quello europeo – continua Striglio – osservo con attenzione l’evoluzione del car sharing e le sue potenziali­tà. Pensare auto progettate per essere condivise potrebbe essere una mossa per mantenere l’attuale livello di redditivit­à».

Cavalcare il cambiament­o o rallentarl­o? Giunti davanti al bivio, scegliendo di integrare la predisposi­zione alla condivisio­ne già nel progetto della vettura - fino a farne un tratto nativo e distintivo - i produttori sembrano aver imboccato la prima direzione.

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