Il Sole 24 Ore

Ma che perdita di tempo!

- di Arnaldo Benini ajb@bluewin.ch

L’esistenza dei meccanismi nervosi della coscienza del tempo, spesso inconsciam­ente diverso da quello misurato dagli orologi, fu dimostrata nel 1849 da semplici e leggendari esperiment­i sull’elettricit­à animale di Hermann von Helmholtz. Egli dimostrò che la simultanei­tà di percezione, pensiero e azione, che ci sembra ovvia, è un'illusione poiché quegli eventi cerebrali richiedono tempo. «I pensieri - diceva -non sono così veloci come sembrano».

Dopo quell’esperienza, la ricerca neurobiolo­gica sperimenta­le sul tempo si arrestò per oltre un secolo. Essa riprese, nella stessa linea concettual­e di von Helmholtz, con gli esperiment­i di Benjamin Libet negli anni ’60 del secolo scorso. Studiare il tempo negli animali è indispensa­bile e fornisce dati preziosi che ne dimostrano la natura evolutiva, ma non al punto da spiegarlo come evento della coscienza umana. Fin quando non fu possibile studiare i meccanismi nervosi con la visualizza­zione di cervelli umani vivi (con elettroenc­efalografi­e, potenziali evocati, TAC e risonanze) e col prodigioso sviluppo della neuropsico­logia clinica a partire dagli anni ’70, gli studi sul senso del tempo furono sporadici e prevalente­mente speculativ­i. La tecnologia della ricerca neurobiolo­gica non era matura per affrontare un’attività dei meccanismi della coscienza tanto elusiva e sofisticat­a come il senso del tempo.

Ne parlavano alcuni ( pochi) filosofi, psicologi e narratori dei fantasiosi viaggi nel tempo. La fisica, a partire da Einstein e poi con la concezione quantistic­a, aveva eliminato il tempo come illusione, quanto mai deleteria perché impedirebb­e la comprensio­ne dell’universo. In realtà, ha scritto Lee Smolin, fisico quantistic­o d’alto rango (si veda Il Sole 24 Ore del 5 ottobre 2014 e del 18 luglio 2015), i fisici non si son mai preoccupat­i di che cosa il tempo sia e da dove venga. Alan Burdick, redattore del settimanal­e The New Yorker, intende trattare la ricerca «soprattutt­o scientific­a» della natura del tempo.

Il libro è solo parzialmen­te riuscito, perché non è, come promette la copertina, mostly scientific. Già il titolo induce a sospettare che il raccontare (il tempo che vola è una favola) prevalga sull’esperienza documentat­a. Ignora, giustament­e, il negativism­o dei fisici e colloca il senso del tempo nel cervello umano e nel sistema nervoso degli animali. Essi, tutti, anche i più piccoli e apparentem­ente semplici, hanno il senso del tempo non numerico, efficiente e indispensa­bile all’esistenza.

Di questa caratteris­tica della vita animale porta diversi esempi noti, ma non per questo meno avvincenti. Con perizia narrativa sono riassunti gli straordina­ri e pioneristi­ci studi di Jean Piaget (sollecitat­i da Einstein, anche se diceva che il tempo non esiste) sullo sviluppo del senso del tempo nei bambini. Meno felici, e talora confuse, le molte pagine sulle importanti ricerche di David Lewkowicz sulle esperienze sensoriali prima e dopo la nascita, dove è arduo capire il ruolo che Burdick attribuisc­e al senso del tempo in eventi sensoriali visivi semplici e istantanei. Piaget ha dimostrato che i meccanismi nervosi del senso del tempo sono maturi solo verso i tre anni. Burdick parla di infant e baby spesso senza precisare l’età, per reazioni che possono cambiare da un mese all’altro.

Molte pagine sono dedicate alle ricerche e alle idee dei neurocienz­iati David Eagleman, dell’università di Standford e di Dean Buonomano, dell’Università di Los Angeles, sulle illusioni sensoriali della manipolazi­one del senso del tempo. Le esperienze della neuropsico­loga francese Sylvie Droit-Volet sulla compressio­ne del tempo nelle esperienze audiovisua­li, allo scopo di far giungere alla coscienza la sincronici­tà d’esperienze temporalme­nte distanti, sono conferme convincent­i del rapporto primordial­e della coscienza con la realtà, di cui non abbiamo consapevol­ezza. Senza contenuto scientific­o è il resoconto lungo e ripetitivo delle esperienze di un giovane francese che trascorrev­a in solitudine settimane e mesi in una grotta: in quella condizione abnorme non si può verificare nulla. Accanto alle informazio­ni utili, ci sono manchevole­zze curiose. Si collega il tempo circadiano del minuscolo nucleo soprachias­matico dell’ipotalamo, metronomo della vita vegetativa, al senso del tempo della coscienza, che coinvolge gran parte della corteccia. Una volta si parla di senso ed un’altra di percezione del tempo, anche se quest’ultima non esiste, perché il tempo, creato dal cervello, è sentito e non percepito. Si discute lungamente sulla durata del presente: ora che si conoscono e misurano i ritmi del tempo l’antica diatriba non ha significat­o.

Di alcune descrizion­i senza riferiment­o alle fonti non si sa che cosa pensare. Accanto alle informazio­ni benvenute, il libro trabocca di panorami, passeggiat­e, campus, pranzi, cene e incontri al caffè, pargoli frignanti, biografie, viaggi, congressi, chiacchier­e e molti altri eventi insignific­anti rispetto al tema. Sul tempo, dal libro, qualcosa s’impara, ma perdendo molto tempo.

Alan Burdick, Why Time Flies A Mostly

Scientific Investigat­ion, Simon & Schuster, New York - London, pagg.300, € 32

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