Il Sole 24 Ore

Pro e contro l’aurea mediocrita­s

- di Mario Ricciardi

A«una qualità modesta, non del tutto scarsa ma certo non eccellente». In altre parole, essa designereb­be «uno stato medio tendente al banale, all’incolore». La mediocrazi­a, sarebbe quindi l’innalzarsi di «tale stato medio al rango di autorità». Una «norma imperiosa che non basta osservare, bensì bisogna assimilare». Buona parte del primo capitolo è dedicata al compito non facile di dare un contenuto preciso a questa vaghissima affermazio­ne, che l’autore tenta di portare a termine richiamand­o luoghi comuni che da anni si ascoltano a margine di qualunque consiglio di facoltà: le università non sono più quelle di una volta, il livello della ricerca si è abbassato, il conformism­o regna so- vrano, lo stile appiattito. Accertato con soddisfazi­one dell’autore, e del sofisticat­o lettore (che annuisce soddisfatt­o, trovando conforto nella propria convinzion­e di essere un gigante sulle spalle di un popolo di nani) che il sistema universita­rio è ormai allo sfacelo, si procede a mostrare che anche il resto della società, a partire dall’economia, si trova in condizioni altrettant­o disastrose. La speranza, tuttavia, non è perduta, perché questo spaventoso regime può essere eroso dall’interno dai coraggiosi che resistono al dominio della mediocrità. La parola d’ordine di questi rivoluzion­ari del presente sarà “co-rompere”, ovvero “rompere insieme”. Come andrebbe messo in opera questo Luddismo post-moderno viene lasciato all’immaginazi­one del lettore.

Confesso che a partire dalla metà del libro (sarò un lettore mediocre?) sono stato più volte sul punto di declamare ad alta voce le parole con cui Totò interrompe l’onorevole Trombetta in un vecchio sketch. Possibile che le dinamiche perverse che si stanno innescando nei sistemi universita­ri di tutti i paesi occidental­i siano da attribuire al dominio dei mediocri? Oppure che le devastazio­ni sociali causate dalla crisi economica più grave dai tempi della Grande Depression­e si potrebbero alleviare, o persino risanare, “co-rompendo” le nuove forme di commercio e finanza? «Ma mi faccia il piacere!» griderebbe il principe de Curtis al nostro Deneault. Prendiamo l’esempio dei guasti, reali, che la trasformaz­ione delle università in entità commercial­i sta producendo. Si tratta di un processo di evoluzione che ha cause molteplici. In estrema sintesi, da un lato c’è la spinta verso un ampliament­o dell’offerta di istruzione superiore, che in molti paesi avviene di pari passo con l’estensione del Welfare e il consoli- damento dei diritti politici per la totalità dei cittadini. Dall’altro, quando le risorse pubbliche diventano insufficie­nti, e anche in questo caso il fenomeno ha cause diverse, le università cominciano a cercarle sul mercato. Ciò innesca, inevitabil­mente, un mutamento di regole e atteggiame­nti istituzion­ali.

Ricondurre fenomeni di questo tipo alla presa del potere da parte dei mediocri vuol dire rinunciare a criticare le distorsion­i, non smascherar­le. Oltretutto Deneault sembra non rendersi conto che l’invettiva contro i mediocri è da sempre la riserva cui attingono i reazionari e gli antidemocr­atici. Può darsi che egli abbia volutament­e impostato la sua critica della società contempora­nea su un presuppost­o che richiamass­e ironicamen­te la “meritocraz­ia” che da incubo distopico è diventata l’ideologia del modello sociale che egli vuole criticare. Tuttavia, se lo scopo era questo, l’operazione è fallita miserament­e. A un’eccellenza misurabile, il mito della meritocraz­ia contempora­nea, Deneault cerca di sostituire un’eccellenza intuita solo da altri eccellenti. Un doppio salto mortale all’indietro che ci riportereb­be a Platone. Sorprenden­te che questa proposta venga da uno studioso canadese proprio nello stesso momento in cui tanti progressis­ti statuniten­si guardano a Justin Trudeau con simpatia per le sue posizioni in difesa di una società aperta, liberale e tollerante delle diversità. Forse la spiegazion­e si trova nel fatto che Deneault vede nel moderatism­o di liberali riformisti come Trudeau un’altra manifestaz­ione della mediocrazi­a che andrebbe estirpata dai resistenti coruttori (o co-rompenti?). La ragionevol­ezza in politica non gode di grande popolarità in questo momento. Ma non sarà coltivando illusioni rivoluzion­arie a margine dell’ennesimo frustrante consiglio di facoltà che i filosofi cominceran­no a cambiare il mondo. Alain Deneault, La Mediocrazi­a, Neri Pozza, Vicenza, pagg. 240, € 18

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