Il Sole 24 Ore

Regole e deroghe da Roma a Bruxelles

- di Dino Pesole

Regole e deroghe. Una prassi che ben conosciamo, abituati come siamo a individuar­e nelle pieghe della legislazio­ne di casa nostra tutti i possibili varchi interpreta­tivi. Il punto è che questa prassi sembra affermarsi anche a Bruxelles. Regole scolpite nelle tavole dell’armamentar­io tecnico/giuridico che guida scelte e raccomanda­zioni di politica economica rivolte a tutti i Paesi membri, che poi vengono inevitabil­mente reinterpre­tate in sede politica e “derogate”, appunto.

Un caso che ci investe direttamen­te, ora che il Governo sta per approvare il Documento di economia e finanza e il Piano nazionale di riforma. Va benissimo la flessibili­tà di cui peraltro il nostro paese ha già fruito per 19 miliardi nel biennio 2015/2016, cui vanno ad aggiungers­i circa 7 miliardi per l’anno in corso. E pare sacrosanto anche avviare una discussion­e su ulteriori margini da spuntare nel 2018, nel confuso intreccio di parametri contabili comunque da rivedere: deficit struttural­e, deficit nominale, calcolo del Pil potenziale e rispetto della regola del debito, tanto per citarne alcuni.

Il punto è che bisognereb­be avere il coraggio e la volontà politica di cambiarle, quelle regole, evitando così di farle diventare materia di defatigant­e trattativa su qualche decimale in più o in meno di flessibili­tà. Fino a che non si metterà mano seriamente a una modifica del set di regole definito per gran parte negli anni della grande crisi (dal Fiscal compact, al Six Pack e al Two Pack), fino a spingersi a rivedere anche i famosi parametri di Maastricht, ci troveremo tra breve nuovamente a fare i conti con numeri e stime macroecono­miche inevitabil­mente ad alto tasso di variabilit­à, anche perché basati su scenari in progress. Il tutto andrà ricalibrat­o in settembre, quando si comincerà a definire l’ossatura della prossima manovra di bilancio.

Già, ma allora non ha molto senso che in maggio la Commission­e Ue si pronunci sui conti pubblici del nostro Paese (brandendo l’arma della procedura per disavanzo eccessivo, motivato dal mancato rispetto della “regola del debito”), quando appare chiaro fin d’ora che occorrerà trattare nuovamente sul percorso di riduzione del deficit struttural­e.

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