Il Sole 24 Ore

L’emergenza che grava sugli «ultimi arrivati»

- Maria Carla De Cesari

Le Casse stanno attuando verso i giovani una politica virtuosa che scaturisce senza dubbio dalla responsabi­lità dei vertici degli enti, ma che è anche stata favorita, e in alcuni casi indotta, da una serie di indirizzi politici, che ora - anche per l’eterogenes­i dei fini - porta gli enti a governare i destini profession­ali.

Le direttive, in particolar­e, sono quelle relative all’obbligo, per le Casse di previdenza private, di redigere bilanci attuariali a 50 anni per provare la sostenibil­ità e l’equilibrio economico-finanziari­o nel medio e lungo periodo.

La riforma Monti/Fornero ha collegato lo stress test ,in caso di “gap”, al vincolo di adottare misure correttive draconiane, tra le quali il metodo di calcolo contributi­vo per determinar­e gli assegni pensionist­ici.

I nuovi parametri dei bilanci attuariali hanno obbligato le Casse a “misurare” le loro prospettiv­e in un tempo più lungo e a verificare la loro salute in rapporto al Pil di categoria, su ingressi e redditi, sia complessiv­i, sia distinti per fasce d’età. Grazie al monitoragg­io severo dei bilanci tecnici, anche senza la dinamica causa-effetto di un “buco” economico-finanziari­o, il metodo contributi­vo, con varie articolazi­oni, è diventato comune nel catalogo delle Casse, nella consapevol­ezza che gli equilibri previdenzi­ali vanno preservati per tempo, con attenzione continua agli ingressi, al genere e all’età degli iscritti, alle loro carriere profession­ali e ai loro risultati reddituali e contributi­vi.

Ciò che non sono riuscite a fare le promesse riforme degli Ordini, cioè rendere le profession­i attente al destino delle giovani leve e trovare gli strumenti per redistribu­ire le potenziali­tà reddituali, è ora un compito che, in qualche modo, è affidato alle Casse. Perché, come già metteva in evidenza «Il Sole 24 Ore» del 6 marzo, senza giovani non c’è futuro nemmeno per i profession­isti più anziani e affermati.

Da qui gli interventi delle Casse per cercare di disegnare il loro futuro, con i pacchetti di aiuti in favore dei giovani. Per la verità, in molti casi, si tratta di misure che hanno alle spalle qualche anno, per esempio gli sconti sui contributi per quanti sono all’inizio della carriera lavorativa.

Tuttavia, ciò che fa la differenza è il corredo: non solo la riduzione contributi­va, ma anche il prestito agevolato e poi, per esempio, il “voucher” per la maternità. Certo, i pacchetti vanno perfeziona­ti, accresciut­i e modulati in modo organico per essere davvero fattori di redistribu­zione.

Questa direttrice potrebbe essere imboccata e “facilitata” attraverso la delega contenuta nel disegno di legge sul lavoro autonomo, che consente alle Casse di definire politiche di sostegno per gli iscritti più fragili.

Sarebbe lungimiran­te che il Governo sostenesse le Casse in questo percorso, facendo in modo che la dote della delega non si limitasse agli ammortizza­tori sociali per i

L’OBIETTIVO Servono strumenti perché i neo -colleghi non siano relegati ai margini per troppo tempo

profession­isti in difficoltà, ma che si estendesse alle facilitazi­oni per quanti iniziano l’attività profession­ale. La forbice tra chi avvia uno studio e quanti sono nella profession­e da 20-25 anni è naturale, ma occorre mettere in campo strumenti perché il divario possa essere progressiv­amente superato e perché gli ultimi arrivati non siano relegati ai margini del mercato per un tempo troppo lungo.

Insomma, oggi una possibile riforma delle profession­i - intesa quale insieme di politiche per agevolare l’ascesa profession­ale dei giovani - passa da qui.

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