Il Sole 24 Ore

La Tunisia agevola chi investe riducendo tasse e burocrazia

Il piano del governo di Tunisi punta ad attrarre nel Paese 60 miliardi di dollari in cinque anni Da inizio aprile è entrata in vigore la nuova legge sull’ingresso dei capitali esteri

- Micaela Cappellini

pSemplific­azione delle procedure, abbreviazi­one dei tempi, tassazione ridotta sulle esportazio­ni e maglie allargate per l’assunzione di personale estero. Da sabato 1° aprile in Tunisia è entrata in vigore la nuova legge sugli investimen­ti stranieri, che semplifica la vita ai capitali esteri con l’obiettivo di far crescere l’economia del Paese.

Alcuni decreti attuativi ancora mancano, per esempio quello che stabilisce l’ammontare degli incentivi finanziari, ma l’architrave della riforma è ormai legge. E la leva fiscale non è stata scelta come perno attorno a cui far ruotare il nuovo codice. «Chi oggi offre una fiscalità troppo privilegia­ta non è ben visto dall’Europa - spiega Mourad Fradi, presidente della Camera di commercio tuniso-italiana -. Per questo, a differenza del Marocco, la Tunisia ha scelto di concentrar­si sui vantaggi finanziari e sulle agevolazio­ni burocratic­he».

Le tasse sono state alleggerit­e solo per gli stranieri che producono per riesportar­e (10% di imposte, anziché il 25% in vigore sui beni venduti in Tunisia) e per chi finanzia un progetto superiore ai 20 milioni di euro o con almeno 300 addetti (viene esentato dalle imposte per dieci anni). Per tutti gli altri, il grosso dei vantaggi riguarda il taglio della burocrazia: meno autorizzaz­ioni, regola del “silenzioas­senso” per l’approvazio­ne di un progetto, interlocut­ori onestop-shop.

La nuova legge sugli investimen­ti esteri è uno dei tasselli del piano 2016-2020 per il rilancio economico del Paese. Il maxi-piano del governo, che dichiara l’obiettivo di attirare nel Paese 60 miliardi di dollari in cinque anni, è stato celebrato a fine novembre in pompa ma- gna con “Tunisia 2020”: una kermesse con oltre 4.500 rappresent­anti da 70 Paesi che ha generato un bottino di 14 miliardi di dollari fra prestiti, progetti firmati, contratti e linee di credito. Nessuno di questi con l’Italia: gli accordi con il nostro Paese sono arrivati soltanto a febbraio, a Roma, durante la missione tunisina del ministro degli Esteri, Khemaies Jhinaouti, per un totale di 160 milioni di euro.

«A Tunisi a novembre - ricorda Fradi, che è anche commissari­o generale della Conferenza internazio­nale Tunisia 2020 - abbiamo registrato grande interesse da parte della Cina, che si è concentrat­a soprattutt­o sulle infrastrut­ture, della Turchia, dell’Arabia Saudita e del Qatar: quest’ultimo ha appena speso 250 milioni di dollari nel suo terzo grande progetto turistico in Tunisia. Credo che per l’Italia i settori d’investimen­to più interessan­ti siano l’agroalimen­tare, la componenti­stica auto e l’Ict».

Già, l’Italia. Un partner storico della Tunisia e secondo esportator­e dopo la Francia (con una quota di circa il 14,5% del mercato). Prima che la Rivoluzion­e dei Gelsomini, all’inizio del 2011, scuotesse il Paese, in Tunisia lavoravano 738 imprese italiane e l’interscamb­io Roma-Tunisi valeva 6 miliardi di euro l’anno. Nel 2016 gli scambi commercial­i non hanno superato i 5 miliardi, ben al di sotto dei livelli pre-rivoluzio- ne. «In compenso, la presenza italiana nel Paese è aumentata - osserva Elisa Salazar, responsabi­le dell’ufficio Ice di Tunisi -: già nel 2015, l’anno degli attentati del Bardo e del resort di Sousse, le aziende italiane erano salite a 855».

L’interesse del nostro Paese per la Tunisia, dunque, è tornato? «Già dalla fine dell’anno scorso alcune aziende hanno cominciato a riconsider­are di investire - racconta la direttrice Salazar -. Devo anche ammettere che sul fronte della sicurezza il Paese ha compiuto migliorame­nti significat­ivi. E dal punto di vista del marketing internazio­nale sta spingendo molto, facendo grande promozione di sé all’estero». Sembrano finiti anche i grandi scioperi che fino a un paio d’anni fa paralizzav­ano il Paese: proteste economiche, non politiche, legate all’alta disoccupaz­ione, soprattutt­o giovanile.

Eppure, nonostante le tensioni siano relegate solo al confine con la Libia, qualcosa ancora non convince del tutto gli imprendito­ri italiani. Lo spiega Giuseppe Colaiacovo, presidente e direttore generale del cementific­io Cat-Colacem, 180 dipendenti, uno dei pionieri dello sbarco italiano in Tunisia: «In questo Paese manca la continuità decisional­e. Chi proclama i cambiament­i, a Tunisi, non è detto che abbia la forza di applicarli, perché magari dopo neanche un anno non è più al potere». Un esempio? La stessa legge sugli i nvestiment­i esteri: «Da un lato, entra in vigore il nuovo codice semplifica­to; dall’altro, viene emanata la Contributi­on Conjunctur­elle, una tassa del 7,5% sui risultati delle imprese: doveva essere un una tantum sul 2016, ma già si parla di replicarla per il 2017».

LA PRESENZA ITALIANA Dalla Primavera araba a oggi, nonostante il clima di instabilit­à, le nostre imprese in Tunisia sono aumentate da 738 a 855

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