Factoring a livelli record: superati i 200 miliardi
Il consuntivo Assifact
pCon un balzo di quasi il 10% il factoring in Italia ha superato nel 2016 la soglia dei 202 miliardi di euro di volume d’affari. Un risultato che sorprende positivamente Alessandro Carretta, segretario generale di Assifact: «Nel 2016 il mercato italiano ha registrato un forte impulso delle operazioni, per la prima volta sono stati superati i 200 miliardi di turnover e il factoring pro soluto ha sfondato la quota del 70% dell’operatività complessiva - sottolinea il segretario -. I primi segnali visti nel 2017 lasciano ben sperare che la crescita continui e non escludiamo anche a valori superiori a quelli registrati nell’ultimo anno».
Secondo i dati Assifact, l’associazione che riunisce gli operatori del settore, il turnover è passato dai 177,5 miliardi di fine 2014 ai 202,4 del 2016 con un secco +14%, mentre per il 2017 le previsioni stimano prudenzialmente un altro +4,3 per cento. Un cambio di passo legato a doppio filo al migliorato clima congiunturale e al successo che riscuote fra le imprese la formula “pro soluto”, in cui il credito viene ceduto senza possibilità di rivalsa in caso di inadempimento. Un irrinunciabile sostegno al capitale circolante delle imprese. In un paio d’anni il pro soluto ha visto un aumento di oltre il 24% e il suo peso in termini di valore è pari ai tre quarti dell’intero settore del factoring, che rappresenta il 12% del Pil.
Tra le varie modalità operative si sta facendo strada quella del «reverse factoring»: l’impresa medio-grande, generalmente più solida e strutturata, diventa il capocordata nei confronti della sua rete di fornitori e partner commerciali, agevolando da parte loro l’accesso al credito, anche con condizioni vantaggiose, grazie al minor rischio assegnato agli importi ceduti.
«È una soluzione che riscuote l’interesse dei nostri clienti, anche grazie alla semplificazione amministrativa e dei processi a supporto della filiera dei fornitori - spiega Teresio Testa, direttore generale di Mediocredito Italiano -. Nei primi mesi dell’anno il mercato si è rivelato estremamente dinamico, con percentuali di crescita vicine a quelle del 2016».
In questo scenario favorevole il comparto affronta il nodo delle revocatorie, per cui chiede l’adozione di misure che affermino il principio della non revocabilità delle cessioni di credito con l’allineamento alle best practice europee. «La proposta - sottolinea Carretta - va anzitutto a vantaggio delle imprese cedenti, per le quali altrimenti si potrebbero registrare, a fronte di situazioni di tensione finanziaria, gravi difficoltà di accesso al canale dei finanziamenti. L’introduzione del principio di non revocabilità circostanziato va nella direzione di tutelare e favorire l’accesso al credito delle imprese in difficoltà, con particolare riferimento allo strumento dello smobilizzo dei crediti».
La distribuzione territoriale del mercato vede al top Lombardia e Lazio, due regioni che valgono, in termini di volume di crediti, circa la metà del mercato nazionale. La classifica stilata in base al cedente vede al primo posto la Lombarda con il 30%, che precede Lazio, vicino al 25%, Piemonte (11%) ed ex aequo Emilia-Romagna e Veneto. I debitori ceduti si concentrano soprattutto nel Lazio (27%) e in Lombardia (21%).
IL NUOVO MODELLO Con il «reverse factoring» l’impresa più grande diventa capocordata e garantisce per la rete di fornitori
Per quanto riguarda la ripartizione per attività economica del cedente, la quota di crediti ceduti dalle imprese è predominante rispetto agli altri settori economici (80,8%) e per la maggior parte (93%) si tratta di imprese private. Se invece si considera la ripartizione per settore di attività economica rispetto al debitore ceduto, le imprese e le amministrazioni pubbliche rappresentano le maggiori controparti debitrici dei crediti ceduti, rispettivamente con oltre il 55% e quasi il 23% dei crediti per factoring.
L’attività delle società di factoring si scontra con i crediti vantati verso la Pa e alla fine del 2016 quelli in essere erano vicini al 23% contro il 28% del 2014. Di questi il 37% è verso il comparto della sanità, il 36% verso le amministrazioni centrali e un 25% è in capo a quelle locali. La quota scaduta è vicina a un terzo del totale con un certo miglioramento rispetto ai dodici mesi precedenti. Prima di incassare il saldo dal pubblico è buona regola preventivare tempi lunghi e su questo fronte sembra non si notino miglioramenti negli ultimi anni, perché la quota di debiti scaduti da più di un anno è vicina al 58 per cento.