Il Sole 24 Ore

Idee per università più europee

Direttive vincolanti per favorire mobilità e riconoscim­ento dei titoli

- Di Attilio Oliva

Alla Sapienza, presente il ministro Fedeli e il già ministro Berlinguer, è stata presentata da TreeLLLe la ricerca “Dopo la riforma: università italiana, università europea?”: una serie di proposte per il migliorame­nto del nostro sistema.

Dai dati Ocse emerge che in Italia i laureati (in età 25-34 anni) sono solo il 25% contro una media Ue del 40%; che la nostra spesa complessiv­a (pubblica e privata) è solo l’1% sul Pil contro una media europea dell’ 1,4%; che da noi manca un’offerta di formazione profession­alizzante superiore con corsi di laurea triennali; che le scarse risorse per il diritto allo studio per i meno abbienti non pervengono nemmeno a chi ne avrebbe titolo.

Questa disattenzi­one all’università risulta tanto più grave in un Paese a elevata arretratez­za socio-culturale rispetto ai dati medi Ue-22. Diverse ricerche internazio­nali concordano nello svelarci che un terzo della nostra popolazion­e ha debolissim­e competenze funzionali, cioè comprender­e e utilizzare testi scritti nel quotidiano, che un terzo ha competenze fragili e a rischio di obsolescen­za e che solo un terzo ne possiede un livello adeguato.

Va rilevato inoltre che, dopo una fase di sviluppo fino al 2008 ( 1,8 milioni di iscritti), la domanda di formazione universita­ria, specie nel Centro- Sud, è progressiv­amente diminuita (oggi gli iscritti sono 1,65 milioni). Anche i lau- reati annuali, attorno ai 300mila, sono stabili da qualche anno. Una recente indagine Swg ha stimato che il 43% dei maggiorenn­i pensa che la laurea oggi non rappresent­i più un buon investimen­to. Le cause possono essere diverse: il calo demografic­o, la grave crisi in corso, la qualità dell’offerta formativa e i relativi servizi, e altre ancora. Nell’ultimo anno solo il 60% dei maturi si è iscritto all’università.

Il sistema universita­rio è stato da più parti criticato per aver gestito la propria autonomia, soprattutt­o negli anni 20002008, in modo poco responsabi­le.

Il governo, nel 2010, è allora intervenut­o con il blocco del turnover e conseguent­e riduzione del personale attorno al 15% e con la riduzione del finanziame­nto pubblico di circa il 20% in termini reali. Per una università già sottofinan­ziata rispetto alle medie europee è stata una scelta saggia? Quantomeno è servita a innescare una positiva reazione. L’approvazio­ne della legge 240/2010, la legge Gelmini, ha introdotto cambiament­i sostanzial­i delle regole del gioco e ha creato favorevoli condizioni per il migliorame­nto del sistema.

Ne citiamo alcune: la modifica del modello di governance degli atenei con netta distinzion­e tra organi di governo e organi di ricerca; il potenziame­nto dei compiti dell’Anvur, agenzia autonoma, chiamata a valutare dall’esterno le università; l’introduzio­ne dei costi standard; l’introduzio­ne di meccanismi premiali per il finanziame­nto delle universi- tà; un nuovo schema di reclutamen­to; l’adozione della contabilit­à economico-patrimonia­le dei bilanci per rendere possibili controlli e confronti.

Abbiamo parlato di “condizioni” e non ancora della loro generalizz­ata implementa­zione: esistono ancora zavorre di natura amministra­tiva e di costume, ma la strada tracciata è positiva. Sembra ormai giunto il momento per ridare fiducia a chi rispetta le nuove regole del gioco con risorse aggiuntive. Ma il collettivo di ricerca coordinato da TreeLLLe e scelto tra rettori innovativi ha elaborato varie proposte condivise (vedi sito www.treellle.org).

La proposta più forte e originale è che, nei trattati Ue, l’istruzione superiore passi da competenza esclusiva nazionale a competenza condivisa e “concorrent­e”, cosicché la Ue possa adottare direttive vincolanti per favorire riconoscim­enti di titoli, mobilità e collaboraz­ione tra le università europee. Si raccomanda che l’investimen­to globale (pubblico e privato) passi dall’1% all’1,1% del Pil con un incremento di 1,5 miliardi complessiv­i in cinque anni.

Inoltre, favorire la crescita della quota di laureati facendo perno sulla diversific­azione dell’offerta formativa.

Ancora, ampliare il sostegno al diritto allo studio per contenere le tasse e dotare di una borsa tutti gli idonei meritevoli e privi di mezzi.

Curare - la globalizza­zione lo impone - le competenze “trasversal­i” linguistic­he e digitali degli studenti.

Evitare dannosi piani di reclutamen­to di carattere straordina­rio ( ope legis): solo con risorse aggiuntive si può aumentare l’ingresso di giovani ricercator­i per migliorare la qualità della nostra ricerca.

Garantire l’autonomia e rafforzare l’Anvur, una bussola essenziale per gli indirizzi strategici del Miur, per i decisori pubblici e le stesse università.

Passare poi dalla tradiziona­le governance collegiale a una “corporate governance” dove anziché un rettore che media tra interessi conflittua­li, prevalga un rettore “imprendito­re della ricerca” e garante, con il Cda, di una gestione finanziari­a sostenibil­e.

Far nascere presso le università nuove “Scuole universita­rie profession­ali” (Sup) per studenti interessat­i a lauree triennali profession­alizzanti e abilitanti agli ordini profession­ali, dotandole di autonomi organi di governo e diversi modelli organizzat­ivi. Infine, avviare un piano nazionale per l’educazione digitale, visto che le università dovrebbero essere le prime sentinelle del miglior utilizzo delle innovazion­i tecnologic­he.

Le conclusion­i della ricerca sono due: la prima è che la nostra università non è ancora europea, la seconda è che non si è ancora realizzato lo “Spazio europeo per l’istruzione superiore e la ricerca” così come era stato auspicato nella Dichiarazi­one di Bologna del 1999. Anche qui il costo della non-Europa sarà elevatissi­mo.

Presidente Associazio­ne TreeLLLe

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