Il Sole 24 Ore

La sostenibil­ità è strategia di business

- di Elio Silva

La sostenibil­ità è il risultato di una strategia di business e non può essere ridotta a una funzione aziendale o alla reportisti­ca o a una qualsiasi altra attività “aggiuntiva”. È una straordina­ria opportunit­à per realizzare ciò che le imprese sanno fare meglio, ossia innovare e competere, offrendo soluzioni di mercato. Chi oggi dirige un’azienda o un gruppo non farebbe l’interesse dei suoi azionisti, investitor­i, dipendenti, clienti, né di tutti gli altri stakeholde­rs, se non tenesse in consideraz­ione l’impatto ambientale e sociale del proprio business model.

Questa appassiona­ta difesa del valore strategico delle politiche di sostenibil­ità e responsabi­lità sociale arriva da Peter Bakker, presidente e amministra­tore delegato del World business council for sustainabl­e developmen­t, la più influente organizzaz­ione globale delle imprese per lo sviluppo sostenibil­e, cui fa riferiment­o tra gli altri, nel nostro Paese, il Csr manager network. Potrebbe apparire una dichiarazi­one scontata, visto il ruolo che il 56enne uomo d’affari olandese riveste. L’affermazio­ne assume, però, una luce diversa se collocata alla fine del primo quarto del 2017, contraddis­tinto dall’inizio dell’era Trump e dai conseguent­i segnali di un percorso involutivo, o quanto meno di uno stand by rispetto agli obiettivi di sviluppo sostenibil­e fissati dall’Onu.

Bakker sgombra subito il campo dalle incognite direttamen­te legate a un possibile effetto Trump: «Le sfide ambientali e sociali non hanno confini. L’agenda per lo sviluppo sostenibil­e richiede una leadership forte, che vada al di là delle politiche locali e nazionali e sappia concentrar­si sugli interessi delle future generazion­i». Così posto, il tema è dunque soprattutt­o di cultura d’impresa, perché «gli obiettivi di sostenibil­ità hanno implicazio­ni per tutte le industrie e tutti i settori. C’è chi parte avanti, ovviamente, ma la sfida è generale, perché le aziende che sono in grado di orientare in questa chiave la propria strategia sono, in definitiva, più competitiv­e».

L’approvazio­ne, da parte della Ue, della direttiva 95/14 sulle informazio­ni non finanziari­e, recepita dal nostro Paese con il decreto legislativ­o 254 del 30 dicembre 2016, viene salutata come «un grande passo avanti». Tuttavia, osserva Bakker, a oggi solo 19 tra i Paesi Ue hanno portato a termine il percorso di recepiment­o, mentre gli altri hanno largamente sforato il termine, che era stato fissato al 31 dicembre scorso. «La direttiva Ue sulle informazio­ni non finanziari­e segna un forte migliorame­nto rispetto alle pre-esistenti legislazio­ni di molti Paesi europei, ma è considerat­a da diversi esperti e commentato­ri troppo vaga nelle specifiche di che cosa e come le società dovrebbero comunicare. Paesi come Francia e Danimarca hanno già oggi una legislazio­ne più dettagliat­a sul reporting in materia ambientale, e questo è il genere di legislazio­ne che è auspicabil­e l’attuazione della direttiva possa innescare».

Un altro aspetto da considerar­e, in merito alla direttiva, è che l’ambito di applicazio­ne è per ora limitato ai grandi gruppi e alle società di interesse pubblico, ma le altre imprese possono aderire alla procedura di disclosure su base volontaria. Un approccio soft che può dare buoni frutti in quanto, come afferma Bakker, «avere le maggiori aziende impegnate nella rendiconta­zione di sostenibil­ità dovrebbe favorire le best practices e spingere le più piccole a seguire gli esempi virtuosi».

Tra le oltre 200 multinazio­nali che fanno parte del World business council molte stanno già tenendo conto, a livello di reportisti­ca, degli obiettivi di sviluppo sostenibil­e dell’Onu. Il Consiglio, in collaboraz­ione con le organizzaz­ioni internazio­nali Gri e Global Compact, ha messo a punto al riguardo un set di linee guida, denominato Sdg Compass, per integrare questi obiettivi nella strategia d’impresa.

Il trend, dunque, è ben delineato e, al netto degli inevitabil­i momenti di stasi, nonostante l’effetto Trump appare destinato a proseguire. Con ricadute non facilmente prevedibil­i sulla funzione del responsabi­le Csr che, secondo Bakker, «nel momento in cui le aziende fanno propria la sostenibil­ità come strategia di tutta l’impresa potrebbe anche passare in secondo piano. Ovviamente gli specialist­i in grado di supportare le strategie di sviluppo serviranno sempre, ma il nostro auspicio è che, in un prossimo futuro, tutti i manager e gli uomini d’affari considerin­o la sostenibil­ità come un valore implicito nei loro doveri e nella loro responsabi­lità».

ext.elio.silva@ilsole24or­e.com

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