Il Sole 24 Ore

Dal «reddito liquido» le soluzioni ai problemi del regime di cassa

- Di Marco Versiglion­i

Con la legge di Bilancio 2017 la tassazione delle imprese si allontana ancora dalla competenza e dal “reddito economico” e si avvicina ulteriorme­nte alla cassa e, forse, al “reddito liquido”. Si tratta tuttora di timidi passi, perciò stesso critici, ma nondimeno significat­ivi e apprezzabi­li, dunque sperabilme­nte irreversib­ili.

Da ciò, l’interesse a esaminare alcune questioni aperte, concernent­i la non portabilit­à delle perdite e la deduzione integrale delle rimanenze, col fine sperato di elaborare alcune ipotesi di soluzione (legislativ­e o interpreta­tive).

Di certo, le recenti scelte del legislator­e mirano a tassare una capacità contributi­va più “liquida”, ossia più effettiva, che renda il tributo più giusto; inoltre, esse prediligon­o “fatti scientific­i”, come gli incassi o i pagamenti, che rendano il tributo più certo. Così facendo, tali scelte fissano premesse vere perché tali sono le nuove relazioni nelle quali la legge di imposta corrispond­e ai suoi parametri costituzio­nali. Logica conseguenz­a simmetrica è, dunque, l’introduzio­ne di una disposizio­ne che preveda anche per i “semplifica­ti” il riporto delle perdite (nei limiti previsti per gli ordinari o per i soggetti Ires ovvero entro nuovi limiti).

In effetti, il maggior grado di certezza che il “reddito liquido” (non valutativo) offre rispetto al reddito economico (valutativo) vanifica le ragioni che venivano poste a giustifica­zione della disparità di trattament­o tra le due categorie di contribuen­ti. Ristabilir­e una simmetria legislativ­a tra fattispeci­e costituzio­nalmente simmetrich­e consentire­bbe di evitare la vigenza di una disposizio­ne falsa e, con essa, maggiori rischi di abuso del diritto o di evasione. I primi, possibili quando il diritto è incostituz­ionale e massimi quando il diritto prevede un’opzione tra due regimi; i secondi, probabili quando la legge non prevede il riporto a nuovo di perdite effettive. Inoltre, è proprio la struttura naturale del reddito liquido, perché basata sui flussi “netti” di cassa, a imporre logicament­e il riporto a nuovo delle perdite. Infine, la portabilit­à delle perdite sanerebbe il difetto struttural­e della nuova disciplina che, tassando quanti hanno pagato per l’acquisto di merci rimaste invendute, tenderebbe, altrimenti, a disincenti­vare gli investimen­ti e la ripartenza dell’economia.

Se, tuttavia, il prefigurat­o riporto delle perdite dovesse ac- crescere le rischiosit­à di gettito già poste dalla prevista deduzione integrale delle rimanenze “di competenza”, si potrebbe pensare a una disposizio­ne meno impattante.

In effetti, poiché il comma 18 dell’articolo 1 della legge di Bilancio impone la deduzione integrale dell’importo delle rimanenze nell’esercizio successivo al passaggio competenza-cassa, si dovrebbe logicament­e escludere il riporto a nuovo della sola parte delle perdite che fosse conseguent­e allo scarico dell’importo delle rimanenze che la legge impone di eseguire (falsamente) anche per i beni (realmente) non venduti.

In subordine, si potrebbe modificare il comma 18, prevedendo una deduzione progressiv­a delle rimanenze in ragione degli incassi (da vendite) e dei “prelievi” (da autoconsum­o) dei beni e servizi in rimanenza. Una modifica siffatta evitereb- be le probabili incoerenze costituzio­nali cui condurrebb­e una modifica che, invece, prevedesse uno scarico delle rimanenze finali in quote annuali predetermi­nate.

Infine, limitando il ragionamen­to all’interpreta­zione, se al termine del primo esercizio di cassa taluni dei beni in rimanenza nell’esercizio di competenza fossero rimasti invenduti o non autoconsum­ati, essi, ove il loro costo non fosse recuperato o recuperabi­le, dovrebbero ritenersi ex lege estromessi dai «beni relativi all’impresa», ancorché destinati all’impresa individual­e o appartenen­ti alla società.

In effetti, la logica dell’articolo 53 della Costituzio­ne pare impedire alla legge di cancellare, d’autorità, un valore fiscalment­e riconosciu­to; salvo che dalla stessa legge non sia ricavabile, come qui sembra ricavabile, la norma che congiunge logicament­e a siffatta “non voluta” estromissi­one il riconoscim­ento del valore “fiscalment­e sospeso” del bene estromesso, purché tale valore sia memorizzat­o nell’inventario di fine anno o in apposito prospetto di riallineam­ento e sia dedotto dall’incasso del prezzo o dal valore di autoconsum­o, di assegnazio­ne o di destinazio­ne del bene a finalità estranea.

Queste ipotesi di soluzione di alcuni dei problemi posti dall’attuale sistema misto (che possiamo ribattezza­re “compecassa”) sono ricavabili o compatibil­i con la logica del “reddito liquido”. Forse ciò significa che è in atto un progressiv­o avviciname­nto virtuoso a quest’ultima innovativa base imponibile, più adeguata ai valori costituzio­nali e all’etica attuale, più semplice nell’attuazione, più sicura nel gettito, e, soprattutt­o, più idonea a innescare la ripartenza dell’economia?

LE 4 POSSIBILI SOLUZIONI Riporto delle perdite o della parte di esse non derivante dall’invenduto Scarico graduale giacenze Memoria dei valori fiscali

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