Dal «reddito liquido» le soluzioni ai problemi del regime di cassa
Con la legge di Bilancio 2017 la tassazione delle imprese si allontana ancora dalla competenza e dal “reddito economico” e si avvicina ulteriormente alla cassa e, forse, al “reddito liquido”. Si tratta tuttora di timidi passi, perciò stesso critici, ma nondimeno significativi e apprezzabili, dunque sperabilmente irreversibili.
Da ciò, l’interesse a esaminare alcune questioni aperte, concernenti la non portabilità delle perdite e la deduzione integrale delle rimanenze, col fine sperato di elaborare alcune ipotesi di soluzione (legislative o interpretative).
Di certo, le recenti scelte del legislatore mirano a tassare una capacità contributiva più “liquida”, ossia più effettiva, che renda il tributo più giusto; inoltre, esse prediligono “fatti scientifici”, come gli incassi o i pagamenti, che rendano il tributo più certo. Così facendo, tali scelte fissano premesse vere perché tali sono le nuove relazioni nelle quali la legge di imposta corrisponde ai suoi parametri costituzionali. Logica conseguenza simmetrica è, dunque, l’introduzione di una disposizione che preveda anche per i “semplificati” il riporto delle perdite (nei limiti previsti per gli ordinari o per i soggetti Ires ovvero entro nuovi limiti).
In effetti, il maggior grado di certezza che il “reddito liquido” (non valutativo) offre rispetto al reddito economico (valutativo) vanifica le ragioni che venivano poste a giustificazione della disparità di trattamento tra le due categorie di contribuenti. Ristabilire una simmetria legislativa tra fattispecie costituzionalmente simmetriche consentirebbe di evitare la vigenza di una disposizione falsa e, con essa, maggiori rischi di abuso del diritto o di evasione. I primi, possibili quando il diritto è incostituzionale e massimi quando il diritto prevede un’opzione tra due regimi; i secondi, probabili quando la legge non prevede il riporto a nuovo di perdite effettive. Inoltre, è proprio la struttura naturale del reddito liquido, perché basata sui flussi “netti” di cassa, a imporre logicamente il riporto a nuovo delle perdite. Infine, la portabilità delle perdite sanerebbe il difetto strutturale della nuova disciplina che, tassando quanti hanno pagato per l’acquisto di merci rimaste invendute, tenderebbe, altrimenti, a disincentivare gli investimenti e la ripartenza dell’economia.
Se, tuttavia, il prefigurato riporto delle perdite dovesse ac- crescere le rischiosità di gettito già poste dalla prevista deduzione integrale delle rimanenze “di competenza”, si potrebbe pensare a una disposizione meno impattante.
In effetti, poiché il comma 18 dell’articolo 1 della legge di Bilancio impone la deduzione integrale dell’importo delle rimanenze nell’esercizio successivo al passaggio competenza-cassa, si dovrebbe logicamente escludere il riporto a nuovo della sola parte delle perdite che fosse conseguente allo scarico dell’importo delle rimanenze che la legge impone di eseguire (falsamente) anche per i beni (realmente) non venduti.
In subordine, si potrebbe modificare il comma 18, prevedendo una deduzione progressiva delle rimanenze in ragione degli incassi (da vendite) e dei “prelievi” (da autoconsumo) dei beni e servizi in rimanenza. Una modifica siffatta evitereb- be le probabili incoerenze costituzionali cui condurrebbe una modifica che, invece, prevedesse uno scarico delle rimanenze finali in quote annuali predeterminate.
Infine, limitando il ragionamento all’interpretazione, se al termine del primo esercizio di cassa taluni dei beni in rimanenza nell’esercizio di competenza fossero rimasti invenduti o non autoconsumati, essi, ove il loro costo non fosse recuperato o recuperabile, dovrebbero ritenersi ex lege estromessi dai «beni relativi all’impresa», ancorché destinati all’impresa individuale o appartenenti alla società.
In effetti, la logica dell’articolo 53 della Costituzione pare impedire alla legge di cancellare, d’autorità, un valore fiscalmente riconosciuto; salvo che dalla stessa legge non sia ricavabile, come qui sembra ricavabile, la norma che congiunge logicamente a siffatta “non voluta” estromissione il riconoscimento del valore “fiscalmente sospeso” del bene estromesso, purché tale valore sia memorizzato nell’inventario di fine anno o in apposito prospetto di riallineamento e sia dedotto dall’incasso del prezzo o dal valore di autoconsumo, di assegnazione o di destinazione del bene a finalità estranea.
Queste ipotesi di soluzione di alcuni dei problemi posti dall’attuale sistema misto (che possiamo ribattezzare “compecassa”) sono ricavabili o compatibili con la logica del “reddito liquido”. Forse ciò significa che è in atto un progressivo avvicinamento virtuoso a quest’ultima innovativa base imponibile, più adeguata ai valori costituzionali e all’etica attuale, più semplice nell’attuazione, più sicura nel gettito, e, soprattutto, più idonea a innescare la ripartenza dell’economia?
LE 4 POSSIBILI SOLUZIONI Riporto delle perdite o della parte di esse non derivante dall’invenduto Scarico graduale giacenze Memoria dei valori fiscali