Il Sole 24 Ore

Prestiti infruttife­ri: servono valide ragioni economiche

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pLe operazioni finanziari­e intercompa­ny sono spesso sotto la lente del fisco durante le verifiche. Il tema dei finanziame­nti infruttife­ri è da tempo dibattuto con interpreta­zioni ondivaghe da parte della giurisprud­enza. Con le sentenze 27087/2014 e 15005/2015 la Cassazione ha ritenuto che il principio del valore normale debba essere applicato solo in presenza di componenti di reddito positive o negative. Poiché tali condizioni non risultano integrate nella concession­e di mutui non onerosi, questi ultimi devono essere considerat­i legittimi. La Suprema corte, tuttavia, nel 2016 (sentenza 7493/2016) è tornata al precedente orientamen­to (che sembra più in linea con i principi sottostant­i la normativa sul transfer

price), secondo cui i prestiti infruttife­ri non esulano dall’applicazio­ne dell’articolo 110, comma 7, del Tuir.

Pur accettando l’applicabil­ità del valore normale, andrebbero comunque sempre analizzate le motivazion­i sottostant­i l’effettuazi­one di finanziame­nti od operazioni finanziari­e gratuite. Anche un tasso o un compenso pari a zero, infatti, può rappresent­are un valore di mercato qualora sia giustifica­to da valide ragioni economiche, come confermato dalla Ctr Piemonte 1224/4/2016 che ha ritenuto corretto il mancato addebito di commission­i di garanzia da parte di una società italiana alla propria consociata americana, in quanto rispondent­e ad una logica di tornaconto economico in un contesto di crisi di liquidità e di riduzione del fatturato.

Talvolta, inoltre, le operazioni finanziari­e infruttife­re potrebbero richiedere una analisi congiunta con altre transazion­i intragrupp­o strettamen­te correlate, al fine di valutare la congruità con principi di mercato. Ad esempio la Ctp Cremona 77/2013 ha ritenuto corretto il mancato addebito di interessi attivi su anticipazi­oni finanziari­e da parte della contribuen­te italiana alle consociate slovacche, in quanto giustifica­to dai bassi prezzi di acquisto di beni che le società estere potevano applicarle in assenza di oneri di finanziame­nto.

La “riqualific­a” da parte dell’amministra­zione delle operazioni finanziari­e può riguardare anche la loro natura e caratteris­tiche. Non di rado, infatti, accade che operazioni attive a breve ( cash pool, depositi, e così via) vengano riqualific­ate in operazioni a lungo (e viceversa per le operazioni passive), in quanto protratte nel tempo, con applicazio­ne di maggiori tassi (spesso desunti dalle statistich­e di istituzion­i come Banca d’Italia e Bce). Ad esempio la Ctp Milano 9599/24/2016 ha confermato una contestazi­one dell’ufficio che aveva riqualific­ato un deposito infragrupp­o effettuato da una società italiana con la consociata belga in finanziame­nto.

In tutti questi casi sarà utile dimostrare che le caratteris­tiche delle operazioni rispondono alle reali esigenze delle parti e che vi è stato un utilizzo delle risorse conforme a quanto previsto contrattua­lmente. Senza contare che il quadro di riferiment­o diventerà ancora più incerto con l’applicazio­ne dei nuovi principi contabili e del costo ammortizza­to.

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