Il Sole 24 Ore

Rimborso Iva, basta la dichiarazi­one

In linea con la Corte Ue, nonostante l’omissione del modello VR entro il biennio, l’eccedenza va restituita Dieci anni per l’istanza se l’importo è inserito in Unico - Ufficio condannato alle spese

- Massimo Sirri Riccardo Zavatta

pP er il diritto al rimborso dell’Iva è sufficient­e riportare il credito nella dichiarazi­one. La presentazi­one del modello VR – in aggiunta all’indicazion­e in dichiarazi­one, per i rimborsi fino al periodo d’imposta 2009 – oltre il termine biennale di decadenza (articolo 21, comma 2, Dlgs 546/92) non legittima il diniego del rimborso. Sul punto, infatti, si applica il termine decennale (articolo 2946 del Codice civile). Così si è espressa la Commission­e tributaria regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza 136/11/2017 (presidente Mancini, relatore Morlini).

Il caso

La vicenda riguarda la storia di un contribuen­te che, evidenziat­a l’eccedenza Iva nel rigo RX4 di Unico 2007 (riferito al 2006), ometteva di presentare l’istanza (modello VR), adempiment­o eseguito solo nel 2011 e, quindi, dopo la scadenza del termine previsto dall’articolo 21 del Dlgs 546/92.

La tesi dell’agenzia delle Entrate, secondo cui il comportame­nto del contribuen­te precludere­bbe l’erogazione del credito, è disattesa dai giudici d’appello.

La Ctr, riprendend­o alcuni precedenti della Corte di cassazione (fra le altre, sono richiamate la recente sentenza 19115/2016 e la più risalente 20039/2011), affermano che, ai fini del rimborso, è sufficient­e la manifestaz­ione di volontà contenuta nella dichiarazi­one annuale.

La presentazi­one del modello VR, infatti, rappresent­a solo «un presuppost­o per l’esigibilit­à del credito» ed è, dunque, soggetta al più lungo termine prescrizio­nale (decennale) del Codice civile.

Il principio

Questo risultato interpreta­tivo, del resto, è «pienamente armonico» con i principi fissati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale (nelle cause C-95-96/07 e C-590/13, citate dai giudici bolognesi) afferma l’intangibil­ità del principio di neutralità dell’imposta, di cui il diritto alla detrazione e quello al rimborso sono elementi fondamenta­li. E si tratta, di conseguenz­a, di principio che non può essere messo in discussion­e per l’inosservan­za di

alcuni obblighi formali.

La condanna alle spese

Qualche ulteriore consideraz­ione merita l’affermazio­ne dei giudici secondo cui, a convalidar­e la decisione assunta, soccorre «l’ormai pacifica giurisprud­enza di legittimit­à, consolidat­asi in proposito da almeno anni» e che la Commission­e tributaria pone alla base della scelta di condannare l’ufficio alle spese di lite.

In effetti, se è vero che l’orientamen­to favorevole alle ragioni dei contribuen­ti appare in via di consolidam­ento, è altresì vero che non mancano arresti di segno contrario, anche relativame­nte recenti (ordinanze da 6775 a 6778 e 6782 del 2014).

Inoltre, se le

indicazion­i 7 Il sistema comune dell’Iva è volto a garantire la piena neutralità dell’imposizion­e fiscale delle attività economiche soggette a imposta. È necessario che il soggetto passivo possa esercitare il diritto alla detrazione del tributo. Il rimborso dell’eccedenza a credito consegue direttamen­te a quello di detrazione, così che il diniego del rimborso finisce per tradursi nella negazione del diritto di detrarre, in violazione del principio di neutralità. della stessa amministra­zione finanziari­a (si veda la risposta all’interrogaz­ione parlamenta­re 5-05400/2015), secondo cui la gestione delle controvers­ie in materia doVRà essere adeguata all’evoluzione giurisprud­enziale pro-contribuen­te, sono disattese dagli uffici periferici (come dimostra la sentenza in esame), è probabilme­nte da ritenere che i tempi siano più che maturi per una pronuncia definitiva da parte della Cassazione che, a Sezioni unite, chiuda finalmente l’annosa questione.

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