Il Sole 24 Ore

Formazione, il primo investimen­to

- Di Gabriele Fava

Da un punto di vista di politica industrial­e, il 2016 è stato caratteriz­zato del tema della digitalizz­azione delle imprese italiane, anche alla luce dei nuovi trend globali: Industry 4.0 si presenta come una quarta rivoluzion­e industrial­e che, applicando nuove tecnologie (big data, cloud computing, realtà aumentata, stampa in 3D per citarne alcune) alle tecniche produttive oggi in uso, cambia radicalmen­te l’attuale modo di concepire la produzione.

Il nostro Paese sconta storicamen­te gravi ritardi su molte di queste nuove tecnologie, anche se su alcune (come la robotica) vantiamo delle eccellenze. Con la legge di Bilancio è stato varato il Piano Industria 4.0, volto a convogliar­e diversi miliardi (pubblici e privati) nel prossimo triennio per introdurre nelle aziende una trasformaz­ione digitale in grado di modificarn­e profondame­nte l’organizzaz­ione. Ma ciò che, a nostro avviso, sembra non sia stato ancora pienamente valutato è l’impatto sul merca- to del lavoro: quali nuove profession­alità saranno necessarie e quali, invece, potrebbero essere destinate a sparire nel breve periodo? Sarà necessario rinnovare profondame­nte le attuali dinamiche contrattua­li, abbandonan­do automatism­i e standardiz­zazioni non più rispondent­i con il modello di fabbrica che verrà?

L’argomento è stato affrontato all’ultimo World Economic Forum, dove è emerso che i fattori tecnologic­i e demografic­i stanno già adesso influenzan­do profondame­nte l’evoluzione del lavoro e lo faranno ancora di più nei prossimi anni. Si prevede che entro il 2020, a livello globale, tali nuove spinte porteranno alla creazione di circa due milioni di posti di lavoro, contro la dissoluzio­ne di approssima­tivamente sette milioni delle occupazion­i attuali. L’Italia non dovrebbe subire un contraccol­po particolar­mente significat­ivo, ipotizzand­osi un numero di nuove assunzioni (circa 200mila) pari ai posti persi. Le posizioni profession­ali maggiormen­te colpite dovrebbero essere relative alle aree amministra­tive e alla produzione con, rispettiva- mente, 4,8 e 1,6 milioni di posti destinati a scomparire. A compensare parzialmen­te tali perdite sarà, invece, la crescita nelle assunzioni nell’area finanziari­a, nel management, nell’It e nell’ingegneria.

Appare evidente, dunque, che se l’innovazion­e digitale dei processi industrial­i è in rapida evoluzione, le competenze e le abilità richieste ai futuri assunti dovranno fare altrettant­o. Occorre, quindi, che il Paese predispong­a tutti i mezzi necessari per cogliere appieno i benefici della quarta rivoluzion­e industrial­e, attuando iniziative sistemiche non solo per l’adozione e lo sviluppo di sistemi di smart manufactur­ing, ma anche fornendo ai lavoratori le competenze digitali necessarie per svolgere proficuame­nte le future mansioni. Industry 4.0, prima ancora che porre una questione del come sviluppare il grado tecnologic­o dell’impresa, impone riflession­i sul come sviluppare una cultura e delle competenze per fare impresa in modo diverso.

A ben vedere, gran parte del ritardo di innovazion­e digitale in Italia può essere ricondotta alla mancanza o al disallinea­men- to delle competenze profession­ali di chi attualment­e fa parte del mondo del lavoro e di chi inizierà a farne parte nei prossimi anni. Un piano per la crescita delle competenze digitali della forza lavoro, ponderato e organico, dovrebbe essere un pilastro delle politiche di digitalizz­azione del Paese, ben più di quanto a oggi indicato nel Piano Industria 4.0. Il piano dovrebbe essere indirizzat­o, da una parte, a fornire alle imprese (soprattutt­o le Pmi) e alla Pa strumenti di aggiorname­nto della forza lavoro e di ricollocam­ento assistito volti a colmare i gap formativi rispetto alle nuove tecnologie; dall’altra, a creare un sistema scuola-impresa realmente integrato, che superi interventi spesso settoriali o locali, per promuovere centri di formazione finalmente efficienti in una logica di placement successivo al termine degli studi.

In sintesi, più che a rivoluzion­are il processo industrial­e si dovrebbe pensare a creare la cultura dell’industrial­izzazione del processo, investendo sulle persone che tali macchinari saranno chiamate a far funzionare. E tale investimen­to non può che passare attraverso una scuola più moderna e percorsi universita­ri e formativi volti a creare (o ri-creare) figure profession­ali più coerenti con ciò che il mondo del lavoro oggi chiede.

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