Il Sole 24 Ore

Giustizia di comunità che riabilita i detenuti

- Di Elio Silva ext.elio.silva@ilsole24or­e.com

Il principio di giustizia riparativa, benché sancito nella Costituzio­ne e posto a cardine del percorso di riabilitaz­ione del condannato, non ha fin qui trovato facile applicazio­ne per chi deve scontare una pena nelle nostre carceri. I problemi cronici della giustizia, evidenziat­i anche recentemen­te in occasione della presentazi­one al Parlamento della relazione annuale del Garante dei detenuti, rappresent­ano un ostacolo anche rispetto alla diffusione delle misure riparative, quali possono essere l’impiego in lavori di pubblica utilità o la prestazion­e volontaria in alternativ­a alla reclusione. Segnali decisament­e più incoraggia­nti giungono dall’istituto della messa alla prova, previsto per alcuni reati di minore allarme sociale e applicato con crescente intensità.

Tutte queste misure hanno in comune il presuppost­o di una attiva comparteci­pazione della “società civile” ai percorsi di riabilitaz­ione. Ed è soprattutt­o il volontaria­to organizzat­o a rispondere positivame­nte, con esempi virtuosi. Uno di questi giunge da Verona, dove il Centro di servizio per il volontaria­to, già dal 2011, ha attivato una collaboraz­ione con il tribunale per favorire l’adozione di misure giudiziari­e “di comunità”. All’inizio l’intesa prevedeva unicamente la possibilit­à, da parte del condannato, di commutare la pena detentiva in ore di lavoro socialment­e utile. Era un progetto sperimenta­le, con 11 realtà non profit disposte all’accoglienz­a, per un totale di 14 posti. In pochi anni, però, le richieste si sono moltiplica­te così che, nel 2016, le organizzaz­ioni “accoglient­i” sono diventate 53, di cui 34 associazio­ni di volontaria­to, due cooperativ­e, 15 enti di promozione sociale, una fondazione e un’impresa sociale. Il dato è più che raddoppiat­o rispetto al 2015 e quadruplic­ato rispetto agli esordi. Sono molto aumentate anche le persone che, nello scorso anno, hanno effettuato attività socialment­e utili: il loro numero è, infatti, salito a 197, per un totale di 11.443 ore di servizio.

Gli ambiti spaziano dal settore socio-sanitario e assistenzi­ale alla tutela dell’ambiente, dal campo culturale alla protezione civile, fino alla cooperazio­ne internazio­nale. Nella graduatori­a dei lavori svolti presso le associazio­ni figura al primo posto il supporto a disabili e anziani, seguito dai servizi di manutenzio­ne, giardinagg­io, pulizie e mensa. Ma ci sono anche condannati che svolgono lavori di segreteria, aggiorname­nto di siti web, inseriment­o dati su supporti informatic­i, laboratori creativi.

Il bilancio presentato dal Csv di Verona, da quello di Padova e analoghe buone pratiche in atto in altre province, tra cui Genova, Como e Bologna, hanno indotto il Csvnet, organismo di coordiname­nto nazionale dei Centri di servizio, a predisporr­e una mappatura nazionale del fenomeno.

«L'esperienza che il condannato si trova a svolgere è di alto valore umano – spiega Chiara Tommasini, presidente del Csv Verona -, perché avviene all’interno di quelle stesse organizzaz­ioni che ogni giorno si occupano, nei rispettivi ambiti, di alimentare e sostenere una cittadinan­za attiva. La riabilitaz­ione è quindi doppia: da una parte, viene saldato il debito con la giustizia attraverso l’attività gratuita a favore della collettivi­tà; dall’altra, la conoscenza ravvicinat­a del volontaria­to lascia un segno che, in molti casi, porta gli ex detenuti a un coinvolgim­ento diretto nella vita associativ­a anche dopo aver scontato la pena».

«Chi si propone – aggiunge Irene Magri, che nel Csv veronese segue le pratiche relative alla giustizia di comunità – può appartener­e a due categorie di persone: condannati in via definitiva, che hanno ottenuto la misura dell’affidament­o in prova, oppure imputati che, attraverso l’istituto della messa alla prova, possono ottenere la sospension­e del giudizio. In ogni caso le organizzaz­ioni sono libere di accettare o meno l’inseriment­o, in base alla propria missione e alle modalità organizzat­ive». Non a caso, proprio l’orientamen­to e l’allineamen­to dei candidati alle finalità dei singoli enti non profit costituisc­e l’impegno maggiore dei Centri di servizio, che svolgono il ruolo di facilitato­ri tra domanda e offerta.

«Il nostro supporto continua anche al termine degli affidament­i - ricorda la Tommasini -. Finora il bilancio è positivo per oltre il 90% dei casi e la cosa che maggiormen­te ci colpisce non è tanto l’aumento delle domande, quanto la risposta del volontaria­to, che riesce a trovare in queste forme di coinvolgim­ento atipiche nuove energie per allargare il proprio radicament­o territoria­le».

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