Il Sole 24 Ore

Depositi Iva, conta il titolo d’ingresso

In caso di estrazioni dirette all’Italia, l’imposta dipende dalle modalità di introduzio­ne

- Matteo Balzanelli Massimo Sirri Riccardo Zavatta

L’incrocio tra le regole sui depositi Iva (modificate dal Dl 193/2016) e quelle sui nuovi obblighi di garanzia (Dm 23 febbraio 2017) delinea chiarament­e la differenza di tattamento tra i beni che, dopo l’estrazione, sono destinati a finire all’estero e quelli che, invece, saranno commercial­izzati o utilizzati in Italia.

Limiti a garanzie e imposta

In base alle regole in vigore dal 1° aprile, sono tenuti a prestare la garanzia all’atto dell’estrazione solo i soggetti che intendono utilizzare o commercial­izzare nel territorio dello Stato beni extracomun­itari precedente­mente immessi in libera pratica con introduzio­ne in deposito Iva. E questo, sempre che non ricorrano le specifiche ipotesi di esclusione dall’obbligo e sempre che chi estrae non sia in possesso dei requisiti di affidabili­tà (da autocertif­icare con il modello approvato con provvedime­nto 57215/2017): in questi casi, la garanzia non occorre.

Analogamen­te, l’obbligo di versamento dell’imposta per le altre ipotesi di estrazione, previsto dal nuovo comma 6 dell’articolo 50-bis, Dl 331/1993, vale solo con riguardo a beni destinati a un utilizzo o commercio interno, e non quando l’estrazione è finalizzat­a all’esecuzione di una cessione intracomun­itaria o all’esportazio­ne.

La cessione all’estero

L’estrazione di beni che sono ceduti e trasferiti all’estero continua ad avvenire senza assolvimen­to dell’imposta nel rispetto delle indicazion­i fornite (da ultimo) con la circolare 12/E/2015, indipenden­temente dalle modalità di entrata.

La cessione in Italia

Al contrario, in caso di estrazione a fini di commercial­izzazione o utilizzo in Italia, bisogna guardare al titolo in forza del quale i beni sono stati introdotti nel deposito.

Il primo caso da esaminare è quello dei beni che si trovano nel territorio dello Stato al momento dell’introduzio­ne. Si tratta di una fattispeci­e ora ammessa per tutte le tipologie di beni (stante l’abrogazion­e della lettera d, del comma 4 dell’articolo 50-bis, Dl 331/93) che siano ceduti a soggetti nazionali o esteri, anche con posizione Iva in Italia (grazie alle modifiche alla lettera c).

In questo caso, l’imposta è dovuta da chi estrae ed è versata in nome e per conto di tale soggetto dal gestore del deposito. Non è possibile pagare l’imposta compensand­o eventuali crediti, ma si può usare il plafond per gli esportator­i abituali, secondo le indicazion­i della risoluzion­e 35/E/2017.

Un secondo caso è quello dell’estrazione di beni che siano stati acquistati – chiunque sia il cedente – durante la giacenza all’interno del deposito Iva. L’obbligo di versamento pare riguardare anche quest’ultima situazione. Così sembra in base al dato letterale della norma, la quale dispone che siano estratti applicando il reverse charge (e, quindi, senza versamento dell’imposta) soltanto: 1 i beni introdotti in forza di un acquisto intracomun­itario; 1 i beni introdotti con immissione in libera pratica.

Infatti, poiché nell’ipotesi dell’acquisto intracomun­itario chi estrae deve integrare la «relativa fattura», è lecito ritenere che la procedura sia riservata solo al cessionari­o che ha realizzato l’acquisto intracomun­itario, e non agli acquirenti dei beni già custoditi nel deposito (i quali disporrann­o di fatture/ documenti che non sono “relativi” a un acquisto intracomun­itario in senso tecnico).

Il reverse charge dovrebbe inoltre applicarsi anche se i beni formano oggetto di un contratto di consignmen­t stock in deposito Iva, secondo cui l’acquisto intracomun­itario si perfeziona solo all’atto dell’estrazione.

Per i beni di provenienz­a extraUe immessi in libera pratica e introdotti in deposito (senza pagamento dell’Iva all’importazio­ne), invece, chi estrae – anche se non è l’originario importator­e – applica sempre l’inversione contabile. Senza garanzia, se si è in possesso dei requisiti di affidabili­tà di cui all’articolo 2, Dm 23 febbraio 2017, da documentar­e con dichiarazi­one sostitutiv­a di atto di notorietà. Oppure, in mancanza di tali requisiti, dietro prestazion­e di specifica garanzia avente durata di sei mesi dalla data d’estrazione, conformeme­nte ai modelli approvati con provvedime­nto 59277/2017.

Si consideran­o tuttavia affidabili ex lege gli operatori economici autorizzat­i (Aeo), i soggetti ex articolo 90 Dpr 43/1973 e coloro che hanno immesso in libera pratica i beni. Questi ultimi, infatti, all’atto dell’introduzio­ne della merce nel deposito Iva, hanno già prestato la garanzia, il cui svincolo è subordinat­o al rispetto delle modalità indicate dalle dogane con nota 113881/2011 (richiamata dalla risoluzion­e 35/E/2017).

Resta il fatto che, in assenza di una disciplina “transitori­a”, chi estrae, dopo il 1° aprile, beni immessi in libera pratica da un altro operatore prima dell’entrata in vigore delle nuove regole, e acquistati durante la loro permanenza nel deposito, si trova esposto all’obbligo di prestare una garanzia non prevista (sempre che si tratti di soggetto non affidabile).

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