L’Agenzia innalza l’Iva sull’acqua
Anche per la provenienza dalla sorgente si deve applicare il 22%
Negli ultimi mesi l’agenzia delle Entrate ha emesso numerosi accertamenti con cui ha rettificato l’aliquota Iva applicata per la cessione di acqua di sorgente in boccioni. Ma finora i giudici tributari (si veda l’articolo pubblicato a fianco), condividendo le opposte tesi dei co n t r i b u e n t i , sono giunti a conclusioni differenti.
La questione
L’acqua di sorgente è l’acqua raccolta direttamente alla fonte dagli operatori che poi si occupano della commercializzazione. Recependo la direttiva comunitaria 2009/54/ Ce, anche in Italia è stata regolamentata (con il decreto legislativo 176/2011) la distinzione tra le acque minerali e le acque di sorgente, entrambe vendibili in contenitori di qualunque dimensione.
Sotto il profilo fiscale, la tabella A parte III del Dpr 633/72 (al punto 81) elenca tra i beni soggetti ad aliquota Iva ridotta del 10% l’acqua e l’acqua minerale, rientranti nel codice di nomenclatura combinata (v.d. ex 22.01). A modificare il trattamento Iva dell’acqua minerale è stato poi l’articolo 5, comma 3, del decreto legge 261/90, che l’ha assoggettata all’aliquota ordinaria, allora del 19% (ora è al 22%). Dalla lettura delle due disposizioni emerge quindi che per l’«acqua» si applica l’aliquota al 10%, mentre «l’acqua minerale» sconta l’aliquota ordinaria. Una conferma emerge proprio dal codice di nomenclatura combinata (22.01), che individua, non a caso, le «Acque, comprese le acque minerali naturali o artificiali e le acque gassate, senza aggiunta di zuccheri o di altri dolcificanti, né aromatizzate».
E l’acqua di sorgente? In assenza di deroghe ad hoc, dovrebbe seguire il trattamento Iva previsto in generale per l’acqua.
Le indicazione dell’Agenzia
L’agenzia delle Entrate, con la risoluzione 11/E/2014, ha invece equiparato le acque di sorgente alle acque minerali, perché vengono commercializzate alle stesse condizioni. Entrambe, infatti, sono vendute in bottiglie e destinate al consumo alimentare. Secondo questa interpretazione, si applica quindi l’aliquota Iva
ordinaria sia all’acqua minerale sia a quella di sorgente.
La risoluzione, in altre parole, opera una interpretazione per esclusione, in quanto ritiene che con il termine «acqua» (che sconta l’aliquota Iva ridotta) si debba intendere solo il servizio di erogazione mediante l’allacciamento alle condotte della rete idrica comunale.
Questa interpretazione, in realtà, sembra contrastare con la norma secondo la quale l’aliquota del 10% è riferita a tutte le cessioni di acqua e non soltanto all’erogazione attraverso il servizio idrico comunale.
L’applicazione retroattiva
Gli uffici, inoltre, applicano retroattivamente i chiarimenti contenuti nella risolu- zione rettificando così l’Iva anche per i periodi precedenti il 2014, anno in cui è stato emesso il documento di prassi. Sotto questo profilo si potrebbe ritenere lesa anche la tutela del legittimo affidamento del contribuente. Secondo la Corte di giustizia Ue, infatti, le norme giuridiche devono essere chiare e precise e la loro applicazione deve risultare prevedibile per coloro che vi sono sottoposti (sentenze C-63/93, punto 20, C-107/97, punto 66, e C-17/03, punto 80).
Particolare rigore occorre poi quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari, per consentire agli interessati di conoscere con esattezza l’estensione degli obblighi che essa impone loro (sentenze C-201/08, punto 46; C-17/01, punto 34).
Nella specie, le imprese nei cui confronti vengono notificati gli accertamenti, da un lato, si vedono contestare una maggiore Iva dovuta (22% in luogo del 10%), dall’altro sono quasi sempre impossibilitate dal recuperare dai propri clienti la maggiore imposta. Infatti, essendo trascorso un arco temporale così ampio diviene in genere difficile esercitare il diritto di rivalsa nei confronti di tali clienti per le più svariate ragioni (ad esempio, cessazione o modifica dell’attività o insolvibilità).
Le prime pronunce dei giudici di merito si sono invece espresse in termini differenti rispetto alla risoluzione dell’Agenzia, ritenendo applicabile l’aliquota Iva ridotta.