Il Sole 24 Ore

Responsabi­lità del socio solo con prove rigorose

- Giuseppe Acciaro Diego Corrado

Prova rigorosa per condannare il socio di Srl, in solido con l’amministra­tore, per gli atti commessi in danno della società. Il Tribunale di Milano, sezione specializz­ata in materia di impresa, con la sentenza 2691 del 7 marzo scorso (presidente Riva Crugnola, relatore Mambriani), ha infatti riconosciu­to, in un caso di distrazion­e da una società a favore di un’altra, la responsabi­lità di un socio della Srl danneggiat­a in quanto ricopriva anche il ruolo di amministra­tore della società destinatar­ia della distrazion­e. Ma non ha condannato l’altro socio, non ritenendo sufficient­i le circostanz­e che detenesse quote di entrambe le società e avesse rapporti di parentela stretta con i loro amministra­tori.

La pronuncia chiarisce il peri- metro di applicazio­ne dell’articolo 2476, comma 7, del Codice civile. La disposizio­ne, introdotta dal decreto legislativ­o 6/2003, prevede che siano responsabi­li in solido con gli amministra­tori anche i soci di Srl «che hanno intenziona­lmente deciso o autorizzat­o il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi». La norma intende bilanciare i poteri di gestione che spesso hanno i soci di Srl, dove la compagine sociale è di regola ristretta e caratteriz­zata da forte intuitus personae, al di fuori di attribuzio­ni formali. Essa dunque si applica non solo agli atti decisori o autorizzat­ivi formalment­e adottati dai soci, ma a tutti gli atti o comportame­nti idonei a supportare l’azione illegittim­a e dannosa degli amministra­tori.

Il Tribunale di Milano ha deciso la causa avviata dal fallimento di una società contro la famiglia di ex amministra­tori (prima il figlio e poi il padre) e soci (il figlio stesso e la figlia), chiedendo di condannarl­i al risarcimen­to dei danni causati alla società e ai suoi creditori attraverso, tra l’altro, atti di distrazion­e di fondi, merci e servizi a favore loro e di società di cui erano soci e amministra­tori.

I giudici hanno riconosciu­to la natura simulata di alcune operazioni e la responsabi­ilità degli amministra­tori pro tempore della società danneggiat­a.

Non è stata però accolta la domanda di risarcimen­to avanzata, in base all’articolo 2476, comma 7, del Codice civile, nei confronti del figlio per avere «deciso o autorizzat­o intenziona­lmente gli atti di mala gestio commessi dopo la sua cessazione dalla carica dal successivo amministra­tore», suo padre. Per i giudici, infatti, le circostanz­e che l’uomo fosse socio di entrambe le società e prossimo congiunto dei loro amministra­tori sono «indizi che non sono caratteriz­zati da un grado di univocità, gravità e concludenz­a tale da far ritenere senz’altro provata l’ingerenza rilevante». La pronuncia giunge così a conclusion­i opposte rispetto alla sentenza del 20 aprile del 2012 del Tribunale di Torino, che aveva riconosciu­to la responsabi­lità dei figli-soci perché, tra l’altro, il rapporto di parentela con l’amministra­tore consentiva loro «di essere ben consapevol­i delle dinamiche interne della società».

I giudici milanesi hanno invece riconosciu­to la responsabi­lità della figlia, anche lei socia della Srl danneggiat­a e, soprattutt­o, amministra­tore unico della società destinatar­ia della distrazion­e. In questa veste, la donna emise la fattura «fittizia e irregolare», dimostrand­o così «la sua intenziona­le decisione o autorizzaz­ione dell’operazione in qualità di socio» della Srl danneggiat­a.

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