Il Sole 24 Ore

Rischio contabile sui residui conservati senza obbligazio­ne

- Ettore Jorio

Le modifiche introdotte al decreto legislativ­o 118/2011 con il Dlgs 126/2014 hanno inciso sulle esigenze di chiarezza contabile, con l’obiettivo di rendere veritiere tutte le voci dei bilanci direttamen­te incidenti su quello consolidat­o della Pa.

Il riferiment­o va all’obbligo per i responsabi­li di settore dei Comuni e degli altri enti territoria­li di analizzare preventiva­mente i residui, attivi e passivi, iscritti nelle loro contabilit­à e ripulirli annualment­e, oltre alla loro revisione straordina­ria imposta dall’armonizzaz­ione. Un obbligo per renderli «credibili» in termini di risultato di gestione. Un po’ come chiesto alle aziende private, dall’ineludibil­e ossequio dei principi contabili (Oic e internazio­nali) e dall’accordo di Basilea, di fare con i crediti e i debiti al fine di mantenere la credibilit­à bancaria concessa loro. Un risultato da ottenere, in presenza di «crediti» inesigibil­i, attraverso l’imputazion­e delle insussiste­nze dell’attivo, generatric­i di assottigli­amento degli utili di esercizio che, se tale da determinar­e perdite, impone il relativo ripiano a cura dell’imprendito­re. In buona sostanza, ciò che viene chiesto agli enti locali con l’eliminazio­ne dei residui fasulli e la generazion­e di corrispond­enti fondi ad hoc.

Ebbene, un obbligo di questo tipo riguarda prima di tutto i responsabi­li di settore degli enti locali in sede di elaborazio­ne del rendiconto, da approvare entro il 30 aprile di ogni anno successivo a quello cui i dati si riferiscon­o. Al riguardo, l’attuale articolo 228 del Tuel contiene, al comma 3, un’importante prescrizio­ne, sottovalut­ata in lungo e in largo relativame­nte agli adempiment­i sottostant­i.

Il problema che maggiormen­te si ravvisa è quello di come quest’obbligo viene spes- so adempiuto. Prescrive, infatti, il legislator­e che a questa pulizia si perviene attraverso la « revisione delle ragioni del (loro) mantenimen­to in tutto o in parte » . Ed è qui che diventa difficile rintraccia­re, negli anni, corretti comportame­nti in proposito sui quali la Corte dei conti, prima o poi, inciderà negativame­nte.

Un appuntamen­to così importante è stato, negli anni, caratteriz­zato da una generale superficia­lità, dal momento che l’esame propedeuti­co per determinar­e l’entità dei residui da lasciare iscritti in bilancio non è stato affatto corredato dall’esame funzionale ad assicurare verità ed efficacia giuridica ai medesimi.

La prescrizio­ne normativa, implementa­ta nel 2015, ha inteso sottolinea­re l’improrogab­ile esigenza di individuar­e per ogni residuo, non espulso, la causa giuridica che ne legittima il mantenimen­to e non le ragioni che obbligano alla sua insussiste­nza. Un compito non facile per i dirigenti preposti e per i revisori chiamati alla valutazion­e successiva, dal momento che occorre accertare, per la permanenza dei residui, l’obbligazio­ne civilistic­a connessa ovvero la causa contrattua­le che ne legittima la pretesa vantata verso terzi. Si tratta di un modus operandi da non trascurare dal momento che, in suo difetto, verrebbero a generarsi responsabi­lità contabili (e non solo, attesa la recente individuaz­ione del falso qualitativ­o nel bilancio) delle quali il magistrato contabile inizierà a chiedere, di qui a non molto, un conto costoso.

Un dovere, questo, che assume una importanza vitale in quei Comuni che hanno intrapreso procedure di fusioni, obbligati a comparare correttame­nte i bilanci in gioco e l’attualità delle loro poste.

OBBLIGO ANNUALE Anche la revisione ordinaria impone la verifica della clausola contrattua­le necessaria al mantenimen­to della voce in bilancio

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