Partecipate, controllo congiunto nello Statuto
Le norme che riguardano le aziende pubbliche si concentrano prevalentemente sulle società a controllo pubblico. Questo riguarda in particolare la disciplina sulla parità di genere (articolo 3 della legge 120/2011 e articolo 1 del Dpr 251/2012), la trasparenza e l’anticorruzione (Dlgs 33/2013), le limitazioni per gli ex dipendenti pubblici e privati (articolo 5, comma 9, del Dl 95/2012) e, da ultimo e sotto molteplici profili, il Dlgs 175/2016.
Diventa pertanto estremamente rilevante chiarire con si debba intendere per «controllo» in base all’articolo 2359 del Codice civile nel caso in cui non si tratti di «controllo solitario» di un unico socio ma di quello, ormai molto frequente, di un controllo congiunto tra più enti pubblici.
A favore della possibilità, ma non della necessità, di un controllo congiunto tra soci pubblici si è espresso, con parere 594/2014, il Consiglio di Stato, precisando che ove vi sia una pluralità di soci non è sufficiente la mera titolarità pubblica della maggioranza delle quote per qualificare la società come a controllo pubblico ma è anche necessario che gli organi decisionali della società controllata siano composti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni e che queste ultime congiuntamente, grazie ad accordi tra loro o a «comportamenti paralleli», dispongano dei requisiti di diritto o di fatto previsti all’articolo 2359 del Codice civile (maggioranza del 51% delle quote, maggioranza dei voti in assemblea o presenza di vincoli contrattuali tali da configurare il controllo)
Questo parere, comunque molto innovativo, andava però in contrasto con l’impostazione dottrinale dominante, visto che non escludeva un controllo realizzato tramite «comportamenti paralleli».
Civilisticamente, infatti, il controllo congiunto è una eccezione e, come tale, deve trovare una sua formalizzazione. Così, ad esempio, afferma la Consob, nella sua comunicazione Dcg/0079962 del 9 ottobre 2013.
In sostanza, per configurare il controllo congiunto è indispensabile che vi sia un idoneo patto parasociale? Il Testo unico attuativo della riforma Madia chiarisce la questione ed esplicitamente sposa la tesi che il controllo congiunto necessiti di regole formalizzate. L’articolo 2, comma 1, lettera b) del Dlgs 175/2016, infatti, precisa che il controllo sussiste quando «in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo».
Ovviamente il quadro normativo comporta comunque una valutazione della singola situazione aziendale, visto che è necessario comprendere, caso per caso, se effettivamente lo statuto e i patti parasociali in vigore configurino un controllo societario o meno. Non è infrequente, in realtà la presenza di patti parasociali che non comportano quel consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo merito alle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale che il Dlgs 175/2106 richiede.
L’assenza di patti parasociali o di regole statutarie del tenore di cui si è detto, quindi, preclude l’esistenza di un controllo societario congiunto.
Va comunque precisato che questo è un concetto diverso e più flebile del controllo analogo che l’articolo 2, comma 1, lettera c) vede come «un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata» e che, come tale, lo assorbe. In altre parole non può esserci controllo analogo senza controllo societario.