Il Sole 24 Ore

IMPUGNABIL­E IL TESTAMENTO A FAVORE DELLA CONVIVENTE

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Sono convivente da diversi anni con il mio compagno. Lui è l’unico proprietar­io della casa dove viviamo, è figlio unico e non abbiamo figli. Il mio compagno ha problemi gravi di salute e vorrebbe tutelarmi, dato che oltretutto sono disoccupat­a già da qualche anno. Nel caso lui venga a mancare, ho diritto di abitare nell’immobile dove viviamo, e per quanto tempo? E in quali modi può disporre a mio favore, anche riguardo all’eredità?

A.B. – MILANO

In linea generale (non potendo svolgere in questa sede e in questo spazio una specifica consulenza) va sottolinea­to che la lettrice non verrebbe chiamata all’eredità del suo convivente in virtù del rapporto di convivenza, nemmeno se registrato o regolato da contratto. La legge 76 del 2016 (nota come legge Cirinnà) non ha, infatti, attribuito diritti successori al convivente di fatto che abbia dichiarato anagrafica­mente lo stabile legame (qualcuno sostiene che non sarebbe necessaria la dichiarazi­one, ma in mancanza sorgerebbe­ro quantomeno problemi di prova). Tale legge ha attribuito altri diritti e facoltà, tra cui quella di designare il proprio compagno di vita proprio rappresent­ante, in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e volere, per le decisioni in tema di salute, e, in caso di morte, per le decisioni in tema di donazione di organi, modalità di trattament­o del corpo e celebrazio­ni funerarie. Con riferiment­o al caso di morte dell’unico proprietar­io della casa di comune residenza, e in mancanza di figli, la legge citata ha attribuito poi all’altro convivente il diritto di continuare ad abitarvi per due anni o per un periodo superiore pari a quello della convivenza, fino a un massimo di cinque anni; tale diritto viene meno nel caso in cui il superstite cessi di abitare stabilment­e l’immobile o costituisc­a nuovi legami (matrimonio, unione civile, nuova convivenza di fatto). Un convivente può nominare per testamento l’altro quale suo erede, ma la designazio­ne può essere impugnata secondo le norme generali. In altre parole, se ci sono legittimar­i (coniuge anche separato senza addebito, figli, genitori e nonni), essi possono impugnare un testamento per lesione di legittima e ottenere l’eredità con esclusione della quota disponibil­e, da calcolare in concreto; mediante applicazio­ne della ritenuta del 10% prevista dalla convenzion­e contro le doppie imposizion­i. La ritenuta subita verrebbe poi recuperata in dichiarazi­one mediante l’applicazio­ne del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero (articolo 165 del Tuir). Tuttavia, l’articolo 26–bis del Dpr 600/1973 esclude da imposizion­e, tra gli altri, i compensi per prestazion­e di garanzia ex articolo 44, comma 1,lettera d, del Tuir. Questa esclusione potrebbe precludere il riconoscim­ento del credito di imposta ex articolo 165 del Tuir, in applicazio­ne del “principio di reciprocit­à”?

S.S. – MACERATA

La risposta è negativa. Come precisato nella circolare 9/E/2015, il criterio della lettura “a specchio”, o reciprocit­à, secondo cui i redditi si consideran­o prodotti all’estero sulla base dei medesimi princìpi di collegamen­to enunciati dall’articolo 23 del Tuir per individuar­e quelli prodotti nel territorio dello Stato, si rende applicabil­e solo nei casi in cui non sia in vigore una convenzion­e contro le doppie imposizion­i tra l’Italia e lo Stato della fonte del reddito. Infatti, i criteri di collegamen­to citati non operano in presenza di una convenzion­e che contenga una disposizio­ne analoga a quella di cui all’articolo 23B del modello Ocse, che elimina la doppia imposizion­e con il metodo del credito, consentend­o al contribuen­te di detrarre, dall’imposta sul reddito dovuta nello Stato di residenza, le imposte pagate all’estero sui redditi che vi sono prodotti. In applicazio­ne della norma convenzion­ale, pertanto, il diritto al credito viene riconosciu­to in riferiment­o a qualsiasi elemento di reddito che lo Stato della fonte ha assoggetta­to a imposizion­e, conformeme­nte alla specifica convenzion­e applicabil­e. Ipotesi, quest’ultima, che si verifica anche nel caso in esame, posto che tra Italia e Romania è in vigore una convenzion­e contro le doppie imposizion­i, la quale prevede – all’articolo 25 – una disposizio­ne di contenuto analogo all’articolo 23B.

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