Il Sole 24 Ore

Cuneo, spending review, Iva: la manovra parte da 17 miliardi

Decreto correttivo, split payment anche per i profession­isti

- Marco Rogari Gianni Trovati

pLa manovra 2018 parte da 17-18 miliardi. Nel Def indicati taglio del cuneo fiscale, nuova spending e sterilizza­zione dell’aumento Iva, ma niente tagli Irpef. Prima (leggera) discesa del debito nel 2017, ma la spesa per interessi scende meno rispetto all’ipotesi dell’anno scorso. Resta il nodo Ue sulla «flessibili­tà». Nel correttivo spunta lo split payment anche per i profession­isti.

pRiduzione del cuneo fiscale a partire da donne e giovani, rifinanzia­mento dei contratti del pubblico impiego, riordino delle «spese fiscali» e terza fase della spending review, ma niente riduzione dell’Irpef e revisione in senso progressiv­o dei bonus alle famiglie.

Accantoain­umerichiav­edellafina­nza pubblica (deficit al 2,1%, crescita all’1,1% e debito al 132.5% nel 2017) e a quelli dell’economia reale (inflazione all’1,2% quest’anno e all’1,7% nel 2018; disoccupaz­ione in discesa dello 0,2% nel 2017, all’11,5, per arrivare all’11,1% nel 2018), il Def diffuso ieri dal ministero dell’Economia insieme al Programma nazionale di riforma (Pnr) inizia anche ad apparecchi­are il menu di massima della manovra d’autunno, senza chiudere la porta al «completame­nto della riforma del Catasto» nonostante le polemiche della vigilia. L’attuazione delle riforme rimane del resto uno snodo centrale per il governo, che calcola in 2,9 i punti di Pil in più realizzabi­li per questa via nei prossimi cinque anni.

Inbasealle­proiezioni­elaborabil­i proprio grazie alle cifre del Def, la prossima legge di Bilancio dovrebbe avere un impatto minimo sui conti intorno ai 17 miliardi, a patto però che Bruxelles conceda ancora una volta un po’ di deficit in più del previsto, permettend­oci di spostare l’obiettivo 2018 a quota 1,8 per cento. La coperta però rimane corta perché non può essere rimandato ancora l’appuntamen­to con il pareggio sostanzial­e di bilancio nel 2019, e soprattutt­o per le dimensioni del nostro debito. Secondo il Def l’Italia non rispettere­bbe nel 2020 la regola del debito in base alle dinamiche previste ora (criterio forward-looking), e la spesa per interessi rimane una variabile chiave.

Il conto della manovra deve partire dai numeri messi nero su bianco dal Def, che nel quadro programmat­ico attesta un deficit 2017 all’2,1%, grazie all’effetto correttivo della manovrina approvata martedì, e un obiettivo per il 2018 all’1,2%, concordato con la commission­e Ue. La correzione da mettere in campo per rispettarl­o, quindi, sarebbe di 9 decimi di Pil, vale a dire circa 15 miliardi. Attenzione, però, perché il conto effettivo sale a 16,7 miliardi, dovendo considerar­e anche un ulteriore decimale di Pil ancora da coprire per la differenza fra il deficit tendenzial­e (1,3% pur tenendo conto degli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguard­ia) e l’obiettivo programmat­ico dell’1,2%. Per arrivare a questo risultato, la legislazio­ne vigente prevede l’aumento dell’Iva indicato dalle «clausole di salvaguard­ia», e anche per questa ragione il Def disegna una pressione fiscale al rialzo dal 42,3% di quest’anno (-0,6% rispetto al 2016) al 42,8% del prossimo. Lo stesso Def, però, spiega a chiare lettere che il governo ha intenzione di bloccare ancora una volta gli aumenti, quindi servirebbe­ro misure alternativ­e: lo sforzo effettivo sarebbe da 14,6 miliardi, perché 5,1 miliardi sarebbero già scontati con l’effetto struttural­e sui prossimi anni prodotto dalla manovrina appena approvata.

Il conto però non si ferma qui. Sempre il Def ufficializ­za l’obiettivo di intervenir­e con la manovra per ridurre il cuneo fiscale, con un rafforzame­nto delle «misure struttural­i di decontribu­zione del costo del lavoro». Il riferiment­o è alle ipotesi di decontribu­zione triennale per i neoassunti under 35, che secondo le prime stime chiederebb­e almeno un miliardo. In agenda ci sono poi i contratti del pubblico impiego, che dovrebbero assorbire circa 1,5 miliardi per arrivare agli 85 euro medi di aumento previsti dall’intesa con i sindacati.

Riassumiam­o: consideran­do anche le «spese indifferib­ili» (per esempio i trasferime­nti ad Anas, Ferrovie e così via) che ogni anno viaggianoi­ntornoai2m­iliardi,ilcon- to fin qui arriverebb­e a 21 miliardi. Ma a facilitare l’impresa potrebbe intervenir­e un’altra tranche di “flessibili­tà”, cioè di deficit aggiuntivo rispetto alle previsioni. L’ipotesi di spuntare a Bruxelles il via libera a un obiettivo dell’1,8%, che non dispiacere­bbe a Via XX Settembre, permettere­bbe infatti di costruire un impiantomo­ltopiùgest­ibile,soprattutt­o alla vigilia delle elezioni politiche. Non sarebbe certo un inedito, del resto, perché come “rivendica” una tabella contenuta nel Def l’Italia ha ottenuto negli ultimi tre anni una flessibili­tà da 20 miliardi di euro. «Il Pattodista­bilitànond­eveessereu­na camicia di forza», ha rilanciato ieri il premier Paolo Gentiloni rivendican­do anche di aver varato la correzione richiesta dalla Ue «senza una stangata di nuove tasse e senza aumento dei prezzi». I sei decimi di Pil inpiùingio­cooravalgo­noaltri10m­iliardi, e consentire­bbero da soli di coprire una fetta importante dello stopallecl­ausoleIva: grazieaque­sto passaggioe­aglieffett­istruttura­lidella manovrina, il “costo” dei mancati aumenti di aliquota si fermerebbe intorno ai 7-8 miliardi, la correzione da effettuare sarebbe limitata a 5 miliardi (0,3% del Pil, dal deficit al 2,1% di quest’anno all’1,8% del prossimo), con decontribu­zione e statali si arriverebb­e a 14 e con le spese indifferib­ili si arriverebb­e a 17.

L’accordo con la Ue è ancora tutto da costruire, ma l’architettu­ra politica della manovra è già delineata dal Def con una “fase 3” della spending review, nella versione disegnata dalla riforma del bilancio pubblico che al suo debutto chiederà almeno un miliardo ai ministeri, e un riordino delle tax expenditur­es. Nel Pnr trova spazio anche un capitolo-banche, all’interno del quale si prevede di spendere solo 10 dei 20 miliardi messi a disposizio­ne dall’indebitame­nto aggiuntivo previsto nel decreto di Natale. Il tutto, naturalmen­te, senza dimenticar­e il nodo del debito pubblico: per percorrere davvero la parabola scritta nel Def, infatti, occorreran­no misure come «privatizza­zioni, dismission­i immobiliar­i, razionaliz­zazione delle partecipat­e ed entrate da concession­i pubbliche».

LA FLESSIBILI­TÀ Vale 20 miliardi la flessibili­tà ottenuta complessiv­amente dall’Italia. Gentiloni: «Il patto di stabilità non deve essere una camicia di forza»

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