Il Sole 24 Ore

Partite incrociate tra Mediolanum, Mediaset e Milan

- Festa, Filippetti, Olivieri

Più che Davide che batte Golia, è il fratello piccolo, quello rimasto sempre indietro, che supera il fratello maggiore, un tempo ricco e potente, ma oggi in crisi. Per anni nella galassia Fininvest, Mediaset è stata la gallina dalle uova d’oro; per dimensioni e redditivit­à. La casa editrice Mondadori un blasone nobile, dai numeri gracili.

Per uno di quegli arabeschi del destino, ora la situazione si è rovesciata: Mediaset, zavorrata da un mercato pubblicita­rio che ancora non dà segni di una vera ripresa dopo anni ter- ribili (il 2017 è iniziato di nuovo con un segno negativo, -0,5%) e dalla voragine della pay-tv, ha la corona impolverat­a. Le tv hanno fatto la storia del Biscione, hanno costruito il mito di Silvio Berlusconi imprendito­re di successo, ne hanno favorito la carriera politica fino a diventare primo ministro, ma soprattutt­o hanno fatto la Finin- vest ricca con i loro utili e dividendi. Coi soldi che le tv generarono durante i ruggenti Anni 80, la Fininvest si prese la Mondadori (una battaglia epocale con Carlo De Benedetti, culminata nel famoso Lodo).

Ma negli ultimi dieci anni, a Cologno Monzese è iniziato un trend calante dei profitti, acuito dal bagno di sangue di Premium, che si è rivelato una decisione strategica sfortunata: non solo per l’esborso esagerato per la Champions League (oltre 600 milioni di euro) che finora non ha ripagato l’investimen­to; ma per l’essersi portati addirittur­a in casa il cavallo di Troia Vincent Bolloré, che si credeva invece un amico e alleato. Vivendi, di cui il raider bretone Bolloré è azionista di riferiment­o, ha siglato un patto di matrimonio con Premium solo per ripudiarlo pochi mesi dopo, aggravando ancor più le difficoltà di Premium. E, in un gesto di arrogante sfida, ha pure tentato una scalata clamorosa, rastrellan­do il 29,6% e mettendo Silvio Berlusconi alle corde.

Se non ci fosse il buco di Premium, la tv sarebbe probabilme­nte in equilibrio. Invece nel 2016 Mediaset (che ha ritardato il più possibile il bilancio, a metà mese) chiuderà con una probabile pesante perdita (i primi nove mesi hanno accusato un maxi rosso di 119 milioni). Sarà la seconda in quattro anni (l’altro, il più pesante di tutta la sua storia per Mediaset, fu nel 2012 con 287 milioni di passivo). La buona notizia è che la tv generalist­a, che tutti davano per morta, è invece ancora viva e vegeta. Ma sono lontanissi­mi, e forse irrimediab­ilmente perduti, i tempi in cui Mediaset faceva 600 milioni solo di utili (nel 2006, appunto).

Mentre la tv imboccava una traiettori­a discendent­e dei profitti (il giro d’affari è sostanzial­mente rimasto stabile in dieci anni, sempre attorno ai 3,5 miliardi), a Segrate hanno invece fatto il tragitto opposto. Dopo aver toccato il fondo nel 2012 e 2013 quando per la prima volta, nella sua ultracente­naria storia, chiude due anni di fila in perdita, in casa Mondadori è iniziata una risalita e il 2016 ha segnato profitti per 22 milioni: il fratello più piccolo supera il fratello maggiore. Certo, le dimensioni, in finanza, contano. La casa editrice è un terzo di Mediaset, come dimensioni (1,2 miliardi contro 3,5). Troppo piccola per poter pensare di compensare la crisi del fratello maggiore. Intanto, però, per la prima volta dopo 10 anni, Mondadori potrebbe addirittur­a staccare un assegno a favore dei soci quest’anno (anche se da Segrate l’ipotesi viene per ora esclusa). Mediaset, invece, quasi sicurament­ente non lo farà.

DUE VELOCITÀ Le perdite di Premium hanno pesato sull’andamento del gruppo televisivo, mentre la casa editrice ha cambiato marcia nonostante il web

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