Chiusura delle liti ad alto costo
Definizione limitata al contenzioso con le Entrate avviato entro la fine del 2016
Sulla definizione delle liti pendenti che seguirà la rottamazione emergono aspetti particolarmente critici che vi è da sperare vengano risolti in sede di stesura definitiva. Innanzitutto, sulla base del decreto legge, il nuovo istituto dovrebbe riguardare potenzialmente tutti i provvedimenti impositivi e non solo le somme iscritte a ruolo: si tratta di tutti gli atti il cui ricorso vede come controparte l’agenzia delle Entrate ed è stato depositato presso la Ctp entro il 31 dicembre 2016 e non sia divenuto definitivo. Con riferimento ai gradi successivi del contenzioso (appello e Cassazione) dovrebbe essere sufficiente che la pronuncia non sia divenuta definitiva. Sono invece esclusi gli atti non impugnati alla predetta data.
Per la definizione della lite, il contribuente dovrà versare tutti gli importi contenuti nell’atto impugnato, escluse le sanzioni collegate al tributo e gli interessi di mora. Sono pertanto dovute le imposte pretese e gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo calcolati fino al 60° giorno successivo alla notifica.
Per la definizione della lite relativa ad interessi di mora o a sanzioni non collegate ai tributi, è dovuto il 40% degli importi in contestazione. In ipotesi invece di liti sulle sanzioni collegate ai tributi la definizione può avvenire senza il pagamento di alcun importo. Dovrebbero essere previste al massimo tre rate, se gli importi superano 2.000 euro e dal dovuto si scomputa quanto già versato in pendenza di giudizio o per l’adesione alla rottamazione.
Appare evidente che la definizione della lite si presenta particolarmente onerosa e di fatto poco interessante, non fosse altro perché se il contribuente avesse definito in acquiescenza l’atto impugnato, seppur con l’aggravio di parte delle sanzioni, avrebbe beneficiato di un pagamento ben più dilazionato nel tempo.
Inoltre, la circostanza che non venga considerato l’esito eventualmente intervenuto sul giudizio pendente, rende meno interessante l’istituto per chi ha già avuto ragione. È il caso del ricorso integralmente accolto in primo grado o in secondo grado o addirittura da entrambi i giudici: è inverosimile pensare che il contribuente preferisca versare una somma gravosa (intere imposte + interessi) anziché auspicare la conferma della decisione, avendo già sostenuto le spese di lite. Altrettanto sconveniente per chi avesse già definito le sanzioni in acquiescenza: in tale ipotesi non esisterebbe alcun beneficio.
Si verificherebbe poi una circostanza paradossale: il contribuente che ha impugnato un provvedimento di sole sanzioni non collegato a un tributo, se ha perso in primo grado, avrebbe tali somme iscritte a ruolo, con la conseguenza che potrebbe definirle con la rottamazione, senza il versamento di alcuna somma. Se invece ha vinto in uno o addirittura due gradi di giudizio, non potrebbe aderire alla rottamazione, ma solo al nuovo istituto tuttavia dovendo versare il 40% della pretesa. Paradossalmente, quindi, chi ha già avuto una pronuncia che ha avallato la pretesa dell’Ufficio, senza alcun versamento potrebbe chiudere la lite (aderendo alla rottamazione); chi invece ha avuto ragione sull’infondatezza della pretesa dell’Ufficio, per definire la posizione dovrebbe versare il 40%. Ne consegue che se, da un lato, l’introduzione del nuovo istituto risolve alcune disparità che la sola rottamazione creava, dall’altro ne emergono altre. È auspicabile che prima dell’emanazione del decreto siano valutati tutti gli aspetti critici per non creare ulteriori dubbi e consentire al contribuente un’adeguata valutazione dei propri diritti.