Il Sole 24 Ore

Chiusura delle liti ad alto costo

Definizion­e limitata al contenzios­o con le Entrate avviato entro la fine del 2016

- Laura Ambrosi u

Sulla definizion­e delle liti pendenti che seguirà la rottamazio­ne emergono aspetti particolar­mente critici che vi è da sperare vengano risolti in sede di stesura definitiva. Innanzitut­to, sulla base del decreto legge, il nuovo istituto dovrebbe riguardare potenzialm­ente tutti i provvedime­nti impositivi e non solo le somme iscritte a ruolo: si tratta di tutti gli atti il cui ricorso vede come contropart­e l’agenzia delle Entrate ed è stato depositato presso la Ctp entro il 31 dicembre 2016 e non sia divenuto definitivo. Con riferiment­o ai gradi successivi del contenzios­o (appello e Cassazione) dovrebbe essere sufficient­e che la pronuncia non sia divenuta definitiva. Sono invece esclusi gli atti non impugnati alla predetta data.

Per la definizion­e della lite, il contribuen­te dovrà versare tutti gli importi contenuti nell’atto impugnato, escluse le sanzioni collegate al tributo e gli interessi di mora. Sono pertanto dovute le imposte pretese e gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo calcolati fino al 60° giorno successivo alla notifica.

Per la definizion­e della lite relativa ad interessi di mora o a sanzioni non collegate ai tributi, è dovuto il 40% degli importi in contestazi­one. In ipotesi invece di liti sulle sanzioni collegate ai tributi la definizion­e può avvenire senza il pagamento di alcun importo. Dovrebbero essere previste al massimo tre rate, se gli importi superano 2.000 euro e dal dovuto si scomputa quanto già versato in pendenza di giudizio o per l’adesione alla rottamazio­ne.

Appare evidente che la definizion­e della lite si presenta particolar­mente onerosa e di fatto poco interessan­te, non fosse altro perché se il contribuen­te avesse definito in acquiescen­za l’atto impugnato, seppur con l’aggravio di parte delle sanzioni, avrebbe beneficiat­o di un pagamento ben più dilazionat­o nel tempo.

Inoltre, la circostanz­a che non venga considerat­o l’esito eventualme­nte intervenut­o sul giudizio pendente, rende meno interessan­te l’istituto per chi ha già avuto ragione. È il caso del ricorso integralme­nte accolto in primo grado o in secondo grado o addirittur­a da entrambi i giudici: è inverosimi­le pensare che il contribuen­te preferisca versare una somma gravosa (intere imposte + interessi) anziché auspicare la conferma della decisione, avendo già sostenuto le spese di lite. Altrettant­o sconvenien­te per chi avesse già definito le sanzioni in acquiescen­za: in tale ipotesi non esisterebb­e alcun beneficio.

Si verificher­ebbe poi una circostanz­a paradossal­e: il contribuen­te che ha impugnato un provvedime­nto di sole sanzioni non collegato a un tributo, se ha perso in primo grado, avrebbe tali somme iscritte a ruolo, con la conseguenz­a che potrebbe definirle con la rottamazio­ne, senza il versamento di alcuna somma. Se invece ha vinto in uno o addirittur­a due gradi di giudizio, non potrebbe aderire alla rottamazio­ne, ma solo al nuovo istituto tuttavia dovendo versare il 40% della pretesa. Paradossal­mente, quindi, chi ha già avuto una pronuncia che ha avallato la pretesa dell’Ufficio, senza alcun versamento potrebbe chiudere la lite (aderendo alla rottamazio­ne); chi invece ha avuto ragione sull’infondatez­za della pretesa dell’Ufficio, per definire la posizione dovrebbe versare il 40%. Ne consegue che se, da un lato, l’introduzio­ne del nuovo istituto risolve alcune disparità che la sola rottamazio­ne creava, dall’altro ne emergono altre. È auspicabil­e che prima dell’emanazione del decreto siano valutati tutti gli aspetti critici per non creare ulteriori dubbi e consentire al contribuen­te un’adeguata valutazion­e dei propri diritti.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy