Il Sole 24 Ore

Uber, libri, farmaci: il dilemma concorrenz­a

- di Franco Debenedett­i

«Concorrenz­a sleale» è la motivazion­e con cui il Tribunale di Roma ha vietato l’uso delle piattaform­e informatic­he su cui si basano i servizi Uber. Questa motivazion­e fa uscire la vicenda dall’àmbito concettual­e in cui il problema era stato trattato. Finora gli attacchi a Uber si erano basati sui vecchi regolament­i: quello per cui una vettura con conducente sarebbe dovuta ritornare nel garage di partenza prima di poter ripartire per un altro cliente; oppure quello che, dato che la licenza è concessa dai comuni i quali stabilisco­no anche le modalità di esercizio, sono perciò stesso non modificabi­li le condizioni in cui la concession­e viene esercitata (detto in chiaro: deve essere garantita la quota di monopolio venduta). Si restava nell’àmbito della interpreta­zione dei regolament­i e della valutazion­e delle convenienz­e, dei fornitori e dei clienti. Tutto diverso diventa il discorso se il Tribunale vieta in base a criteri di concorrenz­a sleale. Questa è associata a condotte quali l’imitazione parassitar­ia, l’abuso di posizione dominante, lo storno di dipendenti, la violazione di segreti industrial­i: ma devono esistere nel nostro ordinament­o norme che lo consentono, se il Tribunale ha ravvisato nella modalità di esercizio di Uber le fattispeci­e della concorrenz­a sleale. (Devono esistere anche norme opposte, se per l’Antitrust sono i taxi a fare concorrenz­a sleale a Uber). Concorrenz­a è un termine economico non giuridico: è quindi il legislator­e che deve intervenir­e per definire i limiti in cui essa può esercitars­i. Se illecita è la concorrenz­a sleale, intollerab­ile è che venga considerat­a sleale la concorrenz­a.

Non la chiamano sleale, ma un altro caso in cui la concorrenz­a è vista come un problema è quello dello sconto massimo sui libri. Ad ogni buon conto si applica anche (anche?) alle vendite su piattaform­a digitale (leggi Amazon) la proposta di legge, prima firmataria Sandra Zampa del Pd, che vuole ridurre al 5%, dal 15% attuale, il massimo sconto che si può praticare sui libri. Qui l’analisi economica è complicata: ci sono gli interessi dei grandi e dei piccoli editori, quelli dei librai e della grande distribuzi­one, i margini unitari e gli utili totali; ci sono i grandi editori che fissano il pezzo di copertina in funzione dello sconto massimo. Quello che è certo è che tenere alti i prezzi non aumenta il numero dei libri venduti.

Ci sono voluti anni perché venisse consentito ai grandi magazzini di vendere prodotti farmaceuti­ci da banco. Adesso si ricomincia con le prestazion­i analitiche di prima istanza, rilevament­o dei trigliceri­di, glicemia, colesterol­o totale. La norma regionale piemontese ne estendeva la vendita agli esercizi di vicinato e alle medie e grandi strutture di vendita, la Cassazione l’ha bocciata. Stavolta non perché sleale, ma perché in contrasto con la norma statale che limita tali prestazion­i alle sole farmacie convenzion­ate con il SSN. La suprema Corte, ovviamente, non entra nel merito, cioè se quanto stabilito dalla Regione Piemonte vada a vantaggio o a svantaggio del paziente, ma si erge solo garante dei termini dell’armistizio tra grandi superficie e farmacie. Protezione del paziente forse, di certo protezione delle farmacie dalla concorrenz­a.

La concorrenz­a presuppone sempre che cambi qualcosa: nel margine di utile, nei costi dei fattori di produzione, nella qualità del servizio offerto. Ma i veri salti si hanno quando si cambia in modo radicale l’uso che si fa dei fattori produttivi. Ancor di più quando si offre un prodotto o servizio con caratteris­tiche nuove: come fa Uber che consente di farsi trasportar­e anche da chi non ha comperato una licenza municipale, con minore attesa, minore costo, pagando senza tirar fuori soldi, e potendo dare un giudizio sulla qualità del servizio ricevuto. Proibire questi servizi per concorrenz­a sleale, equivale a dire che fare concorrenz­a è sleale. Lo dicevano anche i compagni di Ludd: allora si trattava dei telai meccanici. I drammi dell’Italia, alta disoccupaz­ione, enorme debito, bassa crescita, derivano tutti dalla produttivi­tà, che da 20 anni non cresce. La produttivi­tà è il rapporto tra il prodotto e l’insieme dei fattori di produzione (lavoro, materiali, mezzi finanziari) che hanno concorso a produrlo: perché cresca, bisogna trovare modi per fare di più con meno. È quello che cerca di fare chi vuole uscire vincitore dalla competizio­ne concorrenz­iale: se ha successo – se gli si lascia aver successo - stimola anche altri a provarci. Tutto il contrario se quello che si osserva è che la legge offre sempre protezione a chi risulta spiazzato, e che la concorrenz­a, in fondo, è una cosa sleale.

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