Prada taglia i costi, ottimista per il 2017
Ricavi 2016 a 3,2 miliardi (-9%), ma il cash flow è ai massimi da tre anni
pPositivo, fiducioso, ottimista. Better, confident, sustainable. Questi gli aggettivi più usati nella conference call che ieri ha accompagnato la presentazione dei risultati dell’esercizio 2016 del gruppo Prada, chiuso al 31 gennaio 2017.
La piazza di Hong Kong qualcosa doveva aver intuito: il titolo aveva chiuso a 34,45 dollari locali (+1,31%). Il dato sui ricavi era noto e non è positivo: nel 2016 c’è stato un calo del 9% a 3,184 miliardi. Gli indici di redditività sono scesi (-19% a 653 milioni l’ebitda, -14% l’ebit a 431 milioni, -16% l’utile netto a 278 milioni), ma il margine lordo è rimasto sopra il 70%. L’incidenza di ebitda, ebit e utile netto «è a livelli soddisfacenti grazie all’impatto positivo del piano di riduzione dei costi», ha commentato Patrizio Bertelli, ceo del gruppo che, oltre a Prada, ha in portafoglio Miu Miu, Church’s, Car Shoe e Pasticceria Marchesi. Il cfo Alessandra Cozzani ha sottolineato che «nel secondo semestre 2016 il cash flow operativo è passato da 267 a 365 milioni, il livello più alto degli ultimi sei semestri».
Il clima di ottimismo non solo per il 2017, ma per il medio e lungo termine, trapela anche da altri commenti di Patrizio Bertelli. Rispondendo a una domanda degli analisti, ha detto di «non escludere operazioni di M&A nei prossimi anni». Non accadeva da tempo: sembrava che le acquisizioni fatte da Prada a cavallo degli anni 90 e duemila (Helmut Lang e Jil Sander, per fare due esempi) e relative dismissioni per eccessivo indebitamento o fallimento dei piani di rilancio, avessero davvero scottato Bertelli. L’inversione potrebbe essere legata all’attivismo dei due gruppi del lusso francesi, Lvmh e Kering, sempre a caccia di prede, soprattutto in Italia. Ma c’entra forse di più con quella che Bertelli ha definito «maggiore consapevolezza dei nostri mezzi e crescente fiducia nel saper trovare soluzioni ai momenti di crisi». Nel 2016 infatti è andato a regime il piano di riduzione dei costi (le spese operative sono scese del 10% rispetto al 2015), è migliorata l’efficienza di ogni processo produttivo e si sono moltiplicati gli sforzi per innovare il network retail, integrandolo con l’online, e per le strategie digitali di marketing e comunicazione, che nel 2017 assorbiranno il 20-25% del budget.
La capex resta alta,però il focus degli investimenti (251 milioni interamente autofinanziati) è cambiato: «Nel 2017, come nel 2016, ci dedicheremo alla relocation e ristrutturazione dei negozi più che all’apertura di nuovi spazi – ha detto Bertelli –. Bruxelles, dove apriremo a breve un monomarca Prada, è l’eccezione che conferma la regola». La posizione finanziaria netta è tornata positiva, anche dopo la distribuzione del dividendo, 0,12 euro per un totale di 307 milioni, pari a un payout ratio del 111% e a un rapporto dividendo-prezzo del 3,1%, «uno dei più alti del settore», ha ricordato il cfo Alessandra Cozzani. Ad appassionare di più Bertelli è il digitale: nessuno, tra i ceo dei gruppi del lusso, aveva detto finora tanto chiaramente che «il canale wholesale non è da intendere solo fisicamente: gli e-tailer come Net-a-porter, MrPorter e Mytheresa, con i quali abbiamo accordi, avranno un ruolo sempre più importante, per le vendite e persino per la visibilità dei marchi nel mondo fisico». Tra i mercati, l’unica preoccupazione viene dal Giappone, mentre nei primi due mesi dell’esercizio 2017 sono arrivati segnali positivi da Europa, Stati Uniti, Cina (+15% le vendite locali), America Latina e persino Hong Kong.