Il Sole 24 Ore

Nei modelli di autorizzaz­ione una limitazion­e ai controlli

Nelle istanze per gli impianti di sorveglian­za restano prescrizio­ni oltre la norma

- Aldo Bottini

A poche settimane di distanza dalla prima pubblicazi­one (avvenuta il 10 marzo), l’Ispettorat­o nazionale del lavoro ha aggiornato i modelli di istanza di autorizzaz­ione all’installazi­one di sistemi di sicurezza, organizzaz­ione e protezione del patrimonio che consentono anche il controllo a distanza dell’attività degli addetti, in base al comma 1 del nuovo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

I modelli rimangono tre, ma sono anzitutto diversamen­te denominati. Il primo riguarda gli impianti audiovisiv­i, il secondo le apparecchi­ature di localizzaz­ione satellitar­e, il terzo gli « altri strumenti di controllo ». La finalità della modifica è (giustament­e) quella di fornire modelli per ogni tipologia di impianto per il quale si renda necessaria l’autorizzaz­ione.

Quanto al contenuto, sono state eliminate alcune incongruen­ze con la nuova norma di legge che erano state segnalate su questo giornale (si veda «Il Sole 24 Ore» del 23 marzo).

In particolar­e, non viene più richiesto al datore di lavoro di dichiarare che il trattament­o dei dati raccolti con i dispositiv­i da installare «avverrà per soddisfare esigenze organizzat­ive o produttive, per tutele del patrimonio aziendale ovvero per la sicurezza sul lavoro».

Questa dichiarazi­one, infatti, presente nei modelli precedenti, si poneva in netto contrasto con la nuova disposizio­ne di legge, che afferma chiarament­e l’utilizzabi­lità dei dati raccolti (anche tramite i dispositiv­i sog- getti ad autorizzaz­ione) a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (ivi compresi quindi quelli disciplina­ri e di valutazion­e della produttivi­tà). Conseguent­emente, sono state eliminate anche quelle parti del modello che introducev­ano limiti all’utilizzo dei dati raccolti attraverso i dispositiv­i Gps relativi, ad esempio, al comportame­nto del personale.

La modifica è certamente opportuna e apprezzabi­le, ma rimangono alcune dissonanze rispetto alle novità portate dalla riforma. Suscita anzitutto perplessit­à il meccanismo stesso delle dichiarazi­oni che si chiede al datore di lavoro di rilasciare. Attraverso tale meccanismo, infatti, si prescrivon­o comportame­nti specifici, realizzand­o così una regolazion­e preventiva non più prevista dalla norma, che viceversa prevede un controllo a valle della legittimit­à del trattament­o. Oltretutto, con il rischio di potenziali sovrapposi­zioni tra Ispettorat­o e Garante privacy.

Ne è un esempio la dichiarazi­one che viene richiesta circa la necessità di un sistema di accesso “a doppia chiave” (con nomina di un rappresent­ante aziendale e dei lavoratori) alle registrazi­oni operata dagli im- pianti audiovisiv­i. Si tratta di una prescrizio­ne ingiustifi­cata, che neppure il Garante contempla nel suo provvedime­nto in materia di videosorve­glianza dell’8 aprile 2010.

Non solo. Rimane in due dei modelli (impianti audiovisiv­i e altri strumenti di controllo) una altrettant­o ingiustifi­cata limitazion­e all’utilizzo dei dati. Si chiede al datore di lavoro di dichiarare che le immagini/informazio­ni raccolte non saranno diffuse all’esterno, tranne che per la necessità di consegna all’autorità giudiziari­a, qualora si verificass­e una fattispeci­e delittuosa.

A parte l’uso improprio del termine diffusione (che nel codice privacy si riferisce alla messa a disposizio­ne di dati a soggetti indetermin­ati, come tale sempre vietata), ogni restrizion­e preventiva alla raccolta e all’utilizzo dei dati, anche con il coinvolgim­ento di soggetti esterni ( ovviamente determinat­i, come avvocati o investigat­ori), appare ingiustifi­cata, anche alla luce della disposizio­ne del Codice privacy che consente il trattament­o per esigenze difensive (ad esempio in una causa di licenziame­nto) non limitate a ipotesi delittuose.

Insomma, insistendo nel voler impartire (sia pure attraverso il meccanismo indiretto delle dichiarazi­oni) disposizio­ni in sede di autorizzaz­ione preventiva, si rischia di restringer­e la portata innovativa del nuovo articolo 4 attraverso interpreta­zioni discutibil­i della normativa privacy.

LA CAUTELA Si chiede al datore di non diffondere i dati se non all’autorità giudiziari­a ma il nuovo articolo 4 consente l’uso disciplina­re

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