Il Sole 24 Ore

Fatto (in)sussistent­e, alla giurisprud­enza l’onere della chiarezza

Legge 92 e decreto 23

- Raffaele De Luca Tamajo

La riforma dei licenzia

menti individual­i (legge 92/2012 e decreto legislativ­o 23/2015) è stata portata a termine senza eccessivi conflitti sociali, ma ha innescato notevoli incertezze applicativ­e.

Il faticoso compromess­o politico alla base ha introdotto un delicato spartiacqu­e tra la sanzione reintegrat­oria e quella meramente indennitar­ia del licenziame­nto illegittim­o, spartiacqu­e imperniato sulla controvers­a nozione del «fatto (in)sussistent­e».

Giurisprud­enza e dottrina hanno avuto inizialmen­te difficoltà a concepire che un atto unilateral­e invalido potesse provocare una condanna meramente indennitar­ia e non il ripristino dello stato originario mediante la prosecuzio­ne del rapporto di lavoro. L’equazione accreditat­a da 45 anni di articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - licenziame­nto illegittim­o = reintegraz­ione - è stata difficile da smontare.

Analogamen­te è risultata indigesta l’idea - pur formulata a chiare lettere dal Jobs Act - che, ai fini della individuaz­ione della sanzione applicabil­e al licenziame­nto illegittim­o, non abbia alcun rilievo la proporzion­alità del licenziame­nto rispetto al fatto addebitato. Secondo le recenti riforme del 2012 e del 2015, infatti, se l’inadempime­nto del lavoratore è di lieve entità il licenziame­nto è sì illegittim­o, ma la conseguenz­a a carico del datore è soltanto indennitar­ia e il rapporto di lavoro comunque cessa.

La giurisprud­enza, viceversa, ha inizialmen­te posto in dubbio l’irrilevanz­a i n proposito del canone della proporzion­alità, ritenendo che in presenza di una illiceità modesta rispetto alla sanzione espulsiva la conseguenz­a dovesse essere reintegrat­oria (Cassazione 20540 del 13 ottobre 2015).

Di recente, tuttavia, la Corte di cassazione sembra aver messo ordine sul distinguo tra reintegraz­ione e indennizzo mediante una più accorta interpreta­zione della nozione del «fatto (in)sussistent­e». In particolar­e si è detto che: 1 è insussiste­nte il fatto privo di ogni rilievo disciplina­re (Cassazione 18418 del 20 settembre 2016) o non imputabile al lavoratore per assenza di consapevol­ezza e volontarie­tà (Cassazione 10019 del 16 maggio 2016). 1 è equiparato a fatto insussiste­nte il fatto contestato con grande ritardo (Cassazione 2513 del 31 gennaio 2017) o in modo generico (Corte d’ap-

CAMBIO DI ROTTA Con fatica si è accettato che un recesso illegittim­o non comporta la reintegraz­ione ma solo un’indennità

pello di Palermo del 20 aprile 2016): essendo invalida la contestazi­one disciplina­re, il fatto è come non contestato e quindi insussiste­nte. 1 va irrogata una sanzione meramente indennitar­ia se il licenziame­nto è illegittim­o (assenza di giusta causa o giustifica­to motivo), ma il fatto contestato è sussistent­e ancorché di scarsa gravità; la reintegraz­ione opera soltanto se il fatto è inventato di sana pianta dal datore di lavoro (Cassazione 23669 del 6 novembre 2014).

In definitiva, ancora una volta si chiede alla giurisprud­enza di sistematiz­zare una materia in cui l’alto tasso di implicazio­ni sociali e politiche ha prodotto un disegno normativo dai contorni alquanto sfumati, se non addirittur­a contraddit­tori.

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