Il Sole 24 Ore

Detenute madri, domiciliar­i sempre possibili

No all’esclusione automatica per alcuni reati

- Patrizia Maciocchi

pNon si può negare in automatico il beneficio dei domiciliar­i alla detenuta madre.

L’automatism­o bollato come illegittim­o dalla Corte costituzio­nale (sentenza n.76) è quello previsto dall’articolo 47-quinquies, comma 1 bis della legge 354/1975 ( sull’ordinament­o penitenzia­rio e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), che “allarga” la possibilit­à dei domiciliar­i anche alle detenute madri ( con figli minori di 10 anni) con una condanna superiore a 4 anni. A non essere in linea con la Carta è la parte della norma che preclude il beneficio alle madri condannate per uno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della stessa legge. Un elenco di reati, secondo la Consulta «complesso, eterogeneo, stratifica­to e di diseguale gravità».

A sollevare i dubbi di costituzio­nalità è stato il Tribunale di Sorveglian­za di Bari, impegnato nel procedimen­to relativo a una detenuta, condannata a 7 anni per traffico di droga. La donna, ammessa ai domiciliar­i, aveva chiesto in vista del terzo compleanno del figlio, di poter prorogare il beneficio. Secondo il giudice remittente la preclusion­e alle modalità agevolate di espiazione della pena è in contrasto con gli articoli 3,29, 30 e 31 della Costituzio­ne. La norma, precisa il Tribunale di sorveglian­za, è ispirata alla volontà di far prevalere la pretesa punitiva dello Stato rispetto alle esigenze, che dovrebbero essere preminenti, di tutela della maternità e del minore e in più vanifica anche la ratio della detenzione domiciliar­e speciale tesa a ripristina­re la convivenza tra madri e figli.

E la Consulta conferma che l’espressa esclusione è incostituz­ionale. Il Giudice delle leggi ricorda che, in più occasioni, la Corte ha sottolinea­to la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuati­vo con ciascun genitore che deve poterlo curare, educare e istruire. Diritti codificati dall’ordinament­o internazio­nale (Convenzion­e di New York 1989 e Carta dei diritti fondamenta­li di Strasburgo 2007), secondo il quale la preminenza dell’interesse del minore deve essere riconosciu­ta in tutte le decisioni adottate dalle autorità pubbliche. Il bilanciame­nto con le esigenze di difesa sociale sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore è rimesso alle scelte del legislator­e, attraverso regole legali che de- terminano in astratto i limiti entro i quali i diversi principi possono trovare un’equilibrat­a tutela.

Ma il legislator­e non può negare “in radice” alla madre l’accesso al beneficio tramite il ricorso a presunzion­i insuperabi­li, che impediscon­o al giudice di valutare caso per caso le esigenze di difesa sociale. Così non si si é più in presenza di un bilanciame­nto tra principi «ma al cospetto dell’introduzio­ne di un automatism­o basato su indici presuntivi, che comporta un totale sacrificio dell’interesse del minore». Non è vietato dunque differenzi­are il trattament­o penitenzia­rio per le madri condannate, ma la preclusion­e assoluta del beneficio lede l’interesse del minore e dunque la Costituzio­ne.

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