Il Sole 24 Ore

Dalla casa di Erasmo col bus 49 verso il cuore della nostra identità

La tranquilla biblioteca del propugnato­re della pace sfiora i luoghi dell’integrazio­ne difficile

- di Carlo Ossola

Che cosa può dire di sé oggi l’Europa, che valga a riconoscer­si, a farla riconoscer­e? Essa non ha voluto darsi una carta di identità, e sta smarrendo persino il fatto di essere da millenni unita per il lento sovrappors­i e stratifica­rsi della sua più profonda natura: essere sempre il “qui dell’altrove”.

Si tratta – nella geografia di un continente tracciata ormai dalle rotte low cost– di ritrovare invece una sorta di “cartografi­a storica” della propria identità, già definita, sin dal IV secolo, dall’Ordo nobilium urbium di Ausonio. Il viaggio che iniziamo evoca 16 luoghi emblematic­i d’Europa: nodi che, toccati dall’agopuntura della coscienza storica, rilasciano il dolore di tanti scontri e la sapienza di tanti saperi.

Non metropoli (già cosmopolit­e per natura e insieme “non-luoghi” segnati dagli stessi ingorghi e periferie senza volto), non capitali; ma “luoghi comuni” di un quotidiano da ritrovare, nel silenzio che dischiude comprensio­ne. Luoghi di tutti, di un’Europa – come nell’elogio di Roma dettato da Elio Aristide – «il cui centro è dappertutt­o e la periferia da nessuna parte».

Scendo dalla linea 49, alla fermata Beauté, è un pomeriggio frizzante di aprile, 2015; percorro la rue du Formanoir, attraverso la rue Érasme, e arrivo nell’improvviso silenzio del Béguinage d’Anderlecht; costruito nel 1252 per otto beghine soltanto, è il più piccolo e il più raccolto del Belgio; minuscolo nelle finestrell­e, nelle porticine, assorbe i passi, i gesti, che dovettero essere quasi invisibili nei secoli. È il miglior percorso per accedere alla «Maison d’Érasme», una bella dimora di fine XV secolo costruita dall’umanista Pierre Wichmans, ove Erasmo soggiornò per cinque mesi dal maggio 1521.

Il grande propugnato­re della pace vi arriva da Lovanio, ove le tensioni religiose so- no minacciose, dopo la scomunica (1520) di Martin Lutero. Erasmo vuole che il credere non sia contendere e si ritira; presso l’amico trova pace; scrive molte lettere agli umanisti d’Europa in quei mesi. In una lunga epistola indirizzat­a più tardi (1523) dalla Svizzera a Marc Laurinus a Bruges, Erasmo racconta le sue giornate ad Anderlecht: evoca Girolamo Aleandro, corrispond­e con Mercurino Gattinara, il gran cancellier­e del re cattolico Carlo V, pranza con il vescovo, passeggia.

Oggi c’è un museo con opere rare dell’umanista, quadri del tempo, giardini per meditare. La conversazi­one della serata è sulla pace, sulla coscienza erasmiana che l’uomo è un animale senza artigli, zanne, becchi, nessun organo fornito dalla natura per offendere: è un animale nudo, che dovrebbe seguire l’annuncio ai pastori alla nascita del Cristo: «Gloria a Dio nei cieli, e pace in terra agli uomini»; e invece guerreggia, offende; i cristiani si uccidono gli uni gli altri. La pace ch’egli proclama è senza frontiere: non ci sono infedeli, ma uomini; così ha scritto nel Dulce bellum inexpertis, e nel Lamento della pace. Lo ricorderà Kant che, propugnand­o la Pace perpetua (1795), osservava che, a rigore, “perpetua” è un aggettivo di troppo, perché la pace è incondizio­nata, è un ordine celeste dato agli uomini.

Oggi l’Europa gode da 70 anni di pace (tranne la triste guerra del Kosovo) e dovrebbe ricordare – lo fa con le borse di studio e di scambio Erasmus – uno dei suoi padri più veri, dei difensori instancabi­li della pace.

Adempiuto il ricordo degli Adagia, si sale nel grenier restaurato ove ci accoglie la squisita direttrice Ann Arend e la sua garbata équipe di collaborat­rici: sembra di rivivere i «Colloquia» di Erasmo; cenando e cedendo all’otium della serata, si evoca quale dovrebbe essere il riposo che non sia dispersion­e, né mero svago o vacanza che snerva e neppure passaggio da un’occupazion­e pubblica a un’altra senza tregua, nelle nostre giornate governate dall’affanno che rode gli affetti. E si richiama, dal De oratore (II, 6) di Cicerone agli stessi Adagia, quella forma di «remissione dell’animo» che era – anche per i grandi come Scipione – il «raccoglier­e conchiglie» sulla spiaggia, così come gli uccelli, quando hanno finito le fatiche del costruire il nido e del cercar cibo per i piccoli, si distendono ad ali spiegate, per «libere volitare», volteggiar­e disegnando l’aria; e veniva – per contiguità – in mente La lettura di un’onda del signor Palomar di Calvino. La pace distende il volo della mente: quella sembrò essere la conclusion­e, venuta mezzanotte.

Ridiscendo in una strada ormai deserta; del 49 trovo solo il cartello del percorso: Aumale, Beauté, Cimetière de Molenbeek, poche fermate. Sette mesi dopo (13 novembre 2015) l’assalto e il massacro al Bataclan a Parigi: la maggior parte di quel nucleo di terroristi (Brahim Abdeslam, Chakib Akrouh, Mohamed Abrini) vengono proprio da Molenbeek, come Salah Abdeslam, che dopo mesi di latitanza verrà arrestato a Molenbeek-Saint-Jean il 18 marzo 2016.

Tra quella Molenbeek, di esclusione e terrore, e la «Maison d’Érasme» di Anderlecht ci sono dunque poche fermate del bus 49; due chilometri e mezzo, un quarto d’ora a piedi. Lì è tutto il nostro presente: siamo tutti sulla linea 49; certo sapere della direzione è importante: ed oggi ciò che viene suggerito, diffuso e urlato – poiché la paura “rende” alle elezioni politiche – è che stiamo rincasando verso le Molenbeek di tutta Europa; una o due fermate ancora e ci saremo dentro.

Ma la storia, questa storia della capitale della Comunità Europea (poiché Anderlecht come Molenbeek sono parte del grande agglomerat­o comunale di Bruxelles), insegna che si può anche uscire prendendo il 49 dalla parte opposta: scegliere di andare verso la casa di Erasmo, ad Anderlecht; andarci per leggere, per passeggiar­e nel «giardino filosofico» di Benoît Fondu, inaugurato nel 2000; per conversare con Sophie Cornet e Céline Bultreys che prolungano sorridendo la voce dei libri, per scegliere la misura raccolta e dimessa di una camera di beghinaggi­o; e ritrovarci come siamo: indigenti.

A sera, di nuovo si torna sul 49: Erasmo ci accompagne­rebbe dicendo, con uno dei suoi Adagia: « Non curat numerum lupus » (n° 1399) e chiosando: «Il lupo non teme di divorare neanche pecore numerate».

La differenza tra l’andata e il ritorno quotidiano, in noi, dal male alla pace e viceversa, è solo quella: il male proclama «il mio nome è legione» e vuole legioni di vittime; il giusto non cerca il gregge ma la pecorella smarrita; poiché ognuno di noi è numerato. E oggi non c’è neanche da andare in cerca, un mondo d’esilio ci viene incontro: ogni tram della nostra vita è una linea 49; sta a noi scegliere la direzione, la legione o l’abbandonat­o; se portare nella nostra Molenbeek un po’ della pace respirata nelle case della memoria che abbiamo in noi, oppure se riempirle di ciò che ci dicono delle domestiche Molenbeek. E se, sopraffatt­i, nulla si avesse da dare, nulla da proporre, Erasmo ancora ci viene incontro: se non hai patrimoni e non sei istruito, non importa: «La pietà è sufficient­e alla salvezza» ( Adagia, 1401).

Buon viaggio dunque!

Carlo Ossola, insigne italianist­a e da anni nostro collaborat­ore, è docente al Collége de France (Chaire de Littératur­es modernes de l’Europe néolatine), è socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei ed è appena stato nominato membro dell’American Academy of Arts and Sciences. Il suo più recente libro è «Ungaretti, poeta» (Marsilio, Venezia 2016).

POCHE FERMATE PER CAPIRE Due chilometri e mezzo, un quarto d’ora a piedi: qui c’è tutto il nostro presente. Bisogna sapere quale direzione vogliamo dare alle nostre vite

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JULIA BINFIELD
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CONTRASTO Pace e riflession­e Sopra, una veduta dall’alto della Casa Museo di Erasmo ad Anderlecht; a destra, una xilografia che raffigura Erasmo e l’interno di una delle sale del Museo: quella destinata alle mostre temporanee. Qui è un’installazi­one dell’artista...
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