Il Sole 24 Ore

Riconoscer­e la paralisi per battere il sovranismo

- Di Sergio Fabbrini

Quasi tutti i sistemi politici del nostro continente si stanno ridefinend­o a partire dalla frattura sull’Europa. Rispetto a questa frattura, destra e sinistra non sono distinguib­ili. Sia nell’una che nell’altra c’è chi vuole ritornare alle sovranità nazionali del passato e chi invece vuole difendere l’integrazio­ne sovranazio­nale.

Si guardi la Francia. Domenica prossima, 23 aprile, si terrà il primo turno delle elezioni presidenzi­ali francesi. Poiché nessun candidato otterrà la maggioranz­a assoluta (metà più uno) dei voti, i due più votati andranno al ballottagg­io il 7 maggio successivo. È probabile che quei due candidati saranno Marine Le Pen (leader del partito sovranista Front National) e Emmanuel Macron (leader di un movimento europeista, appena costituito, En Marche!), entrambi espression­e di forze politiche eccentrich­e rispetto alla storia della Quinta Repubblica francese.

Se così fosse, per la prima volta, dal 1958, la competizio­ne non sarà tra un candidato gollista (a destra) e uno socialista (a sinistra). Se Macron avesse partecipat­o alle primarie del Partito socialista, non le avrebbe sicurament­e vinte. E se anche le avesse vinte, le divisioni sull’Europa all’interno di quel partito lo avrebbero costretto alla stessa ambiguità europeista che ha portato al fallimento di Hollande. Allo stesso tempo, François Fillon, candidato dei gollisti (ora chiamati Les Répubblica­ins), continua ad essere prigionier­o dell'ambiguità sovranista di quel partito. Così, la divisione sull’Europa si sta affermando all’esterno dei due maggiori partiti, portando ad una vera e propria ristruttur­azione del sistema politico francese.

La frattura sull’Europa aveva condiziona­to pure le elezioni parlamenta­ri olandesi di metà marzo scorso, così come l’elezione presidenzi­ale austriaca del dicembre precedente. In forme diverse, anche in Germania la frattura sull’Europa sta riorganizz­ando il sistema politico.

Lì però, nelle elezioni che si terranno il prossimo settembre, la spaccatura principale non sarà tra i sovranisti (di Alternativ­e für Deutschlan­d) e i partiti europeisti, ma tra due visioni di Europa che attraversa­no questi ultimi (giusto per capirsi, quella della stabilità di Wolfgang Schäuble e quella della crescita di Martin Schulz). Non è un caso che quest'ultimo e Angela Merkel abbiano finora evitato di attaccarsi reciprocam­ente, mentre frontale è lo scontro tra Schulz e l’attuale ministro delle Finanze (che ha definito l’ex presidente del Parlamento europeo un “populista”). È probabile che il posto di ministro delle Finanze, più che il cancellier­ato, sarà la vera posta in gioco di quelle elezioni.

La frattura sull’Europa, che sta rivoluzion­ando i sistemi politici nazionali, è dovuta al fatto che il progetto di integrazio­ne europea è bloccato in mezzo al guado. Una paralisi che ha aiutato inevitabil­mente i suoi avversari. Il nazionalis­mo (inteso come riaffermaz­ione unilateral­e della propria sovranità nazionale) è ritornato ad essere l’alternativ­a politica all’integrazio­ne sovranazio­nale. Spinto dagli Stati Uniti di Trump e dalla Gran Bretagna di May, il nazionalis­mo si sta facendo sentire ovunque. Attraverso il nazionalis­mo, si cerca di mettere in discussion­e il sistema di interdipen­denze con cui si è cercato di contenere, nel secondo dopoguerra, le rivalità tra gli Stati nazionali. Un contenimen­to che ha consentito di aprire i mercati, ma anche le strutture interne di quegli Stati. Mettendo in discussion­e l’interdipen­denza, il nazionalis­mo drammatizz­a le minacce esterne allo Stato (che siano commercial­i, migratorie, terroristi­che non ha importanza), in quanto quelle minacce sono necessarie per legittimar­e sé stesso. Più quelle minacce esterne sono forti, più il nazionalis­mo può irrigidire le strutture interne dello Stato. Trump ha cercato di imporre una visione unilateral­e della presidenza e May una visione suprematis­ta del potere esecutivo, anche se il sistema dei controlli e bilanciame­nti dei rispettivi Paesi ha ridimensio­nato le loro ambizioni. Questo non sta avvenendo invece nei Paesi dell’Est europeo, dove la trasformaz­ione in senso illiberale delle strutture politiche interne sta procedendo senza ostacoli. Al punto che, in Ungheria, la maggioranz­a parlamenta­re nazionalis­ta ha decretato addirittur­a la chiusura di un’università (la Central European University, la più prestigios­a del centro Europa) perché indipenden­te dal governo nazionale. Insomma, il nazionalis­mo porta con sé non solamente la frammentaz­ione dei mercati e la chiusura delle frontiere, ma anche la restrizion­e delle libertà politiche oltre che l’indebolime­nto dei bilanciame­nti istituzion­ali interni.

Di fronte alla pericolosi­tà della sfida sovranista, non si può mettere la testa sotto la sabbia, limitandos­i a difendere il progetto di integrazio­ne, senza riconoscer­e la paralisi che lo sta indebolend­o. A quella sfida occorre opporre la visione di un’unione politica capace di prendere decisioni efficaci, nelle politiche comuni, sulla base di chiari processi democratic­i. La sfida dei sovranisti va affrontata anche in Italia, dove il sovranismo sta diventando maggiorita­rio perché si è appropriat­o del linguaggio populista dell’antipoliti­ca. Con l’aiuto irresponsa­bile di settori dei media e dello stesso establishm­ent, in Italia si sta imponendo una agenda nazionale secondo la quale la nostra emergenza consiste nella corruzione e non già nella disoccupaz­ione, oppure nella disonestà politica e non già nella scarsa crescita economica. Così, i nostri sovranisti (la Lega di Matteo Salvini, i Cinque Stelle di Luigi Di Maio, l’arcipelago della sinistra radicale dei tanti galletti che si contendono la leadership) possono giustifica­re le loro posizioni illiberali e di chiusura attraverso la battaglia populista contro la casta. Naturalmen­te, non si tratta di negare la corruzione o la disonestà che albergano vergognosa­mente nel nostro sistema politico. Tuttavia, la frattura politica che conta, da noi come altrove, non è tra onesti e disonesti, ma tra chi vuole ritornare al sovranismo della vecchia moneta nazionale e chi vuole riformare e rafforzare il governo della moneta comune. Invece di seguire i populisti sovranisti sul loro terreno (come insiste incomprens­ibilmente a fare il Pd di Matteo Renzi), va cambiata l’agenda e le sue priorità. Il futuro dell’Italia non dipende da nuove regole sui vitalizi o sugli avvisi di garanzia, in sé certamente utili, ma dalle riforme necessarie per ridurre il debito pubblico e per portare l’Unione europea fuori dal guado. Dando centralità alla frattura sull’Europa, è possibile aggregare un fronte europeista, vasto perché trasversal­e, anche in Italia. Se si abbandona il narcisismo delle piccole rivalità, quel fronte potrà assumere le caratteris­tiche di una vera e propria coalizione riformista di governo, da contrappor­re al populismo dei sovranisti, nelle elezioni del prossimo febbraio. La posta in gioco è molto alta. È ora di attrezzars­i per vincerla.

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