Il Sole 24 Ore

Leonardo «omo di lettere»

In occasione dei traslochi elencò i testi della sua bibl ioteca: 120 volumi a stampa, con molte opere letterarie e trattati di retorica e grammatica

- di Ca rlo Vecce

La biblioteca di Leonardo. Devo confessare che ci giro intorno da quando mi sono accostato per la prima volta alla sua opera. Ero studente, con un maestro che ci raccontava storie di bibliotech­e, di libri e lettori che avevano cambiato il mondo. Il maestro era Giuseppe Billanovic­h, e la biblioteca era quella di Petrarca. Nell’aula accanto, Augusto Marinoni ci leggeva i testi di Leonardo: ma,

della sua edizione degli Scritti letterari, la parte che

mi affascinav­a di più era l’appendice, intitolata I libri

di Leonardo.

Non si può dire che Leonardo lettore sia oggi il suo aspetto più conosciuto. Nell’immaginari­o contempora­neo, Leonardo è di solito associato al mito del genio solitario e un po’ bizzarro, fastidiosa icona pop esaltata o dissacrata dalla cultura mediatica. Ogni tanto si sente di qualcuno che ha riscoperto la

Battaglia di Anghiari o le ossa della Gioconda. Leonardo lettore, invece, che non suscita il clamore delle scoperte sensaziona­li, può avvicinarc­i molto di più al suo mondo e alla sua vita. Anzi, bisognereb­be cominciare a dire che la maggior parte del suo tempo è stata trascorsa non sui ponteggi di un cantiere o del Cenacolo, col pennello o con la squadra in mano, ma allo scrittoio, nello studio, a leggere libri, a scrivere e a disegnare. Quello scrittoio pieno di libri al quale si siede Leonardo, cercando (invano) di capire quanto gli dicono i colleghi ingegneri Troisi e Benigni in Non ci resta che piangere, è esistito davvero. Se qualcuno lo accusava di essere un omo sanza

lettere, cioè privo di conoscenza del latino, Leonardo gli rispondeva che le sue cose erano tratte più « dalla sperienzia che dall’altrui parola » ; ma poi riapriva i suoi libri, e riprendeva il dialogo ( come l’amico Machiavell­i), continuo e ininterrot­to, e spesso in vivace contraddit­torio, con gli autori ( o, come li chiamava lui, altori). I libri erano davvero “antichi amici”, splendida definizion­e che aveva trovato in uno dei suoi volumi più belli, il De re militari dell’umanista Roberto Valturio. Quel libro lo aveva anche aiutato a colmare le lacune più vistose della sua formazione, saccheggia­to come miniera di parole, idee, immagini, citazioni di seconda mano di grandi autori classici come Lucrezio, riscoperto pochi anni prima da Poggio Bracciolin­i. Ecco il decisivo momento di svolta, in cui Leonardo decide di diventare omo di let

tere, ed egli stesso un altore: intorno al 1487, quando inizia il Codice B e il Trivulzian­o.

Ma cosa sappiamo della biblioteca di Leonardo? Per nostra fortuna, Leonardo aveva diverse piccole manie, e una era quella degli elenchi. Elencava di tutto e minuziosam­ente, dai titoli dei capitoli di libri solo progettati alle voci della spesa quotidiana e ai soldi che prestava, dagli utensili di bottega ai capi d’abbigliame­nto ( elegantiss­imi e costosi). E compilava anche elenchi di libri. All’inizio brevi liste, pochi titoli mescolati a nomi di persone e cose; e poi due liste più lunghe, forse in occasione di trasferime­nti ( Milano c. 1495 e Firenze c. 1503). Prima di riporre i libri nelle casse da lasciare al monastero, Leonardo registrava i nomi degli autori o i titoli, e anche qualche dettaglio materiale: “grande”, “mezzano”, “piccolo”, “vecchio”, rilegato “in asse”, e perfino una macabra decorazion­e esterna “colla morte di fori”. Alle liste di libri e alle occasional­i indicazion­i bisogna poi incrociare la rete infinita di riferiment­i testuali che percorre i codici vinciani. È lì che emerge il rapporto vivo tra il libro e il suo lettore, che spesso ha per Leonardo il sapore di un dialogo diretto con l’al

tore: «Dice Mondino ...», «Dice Batista Alberti ...», « Riprova contro Batista Alberti ... » .

Quanti libri aveva Leonardo? E quali? Tra le liste e le altre citazioni, non arriviamo a più di centosessa­nta volumi. In gran parte sono libri a stampa: la rivoluzion­e avviata da Gutenberg risaliva a pochi anni prima, ma Leonardo trova subito convenient­e, a Milano, l’acquisto di quei volumi freschi di stampa. Quasi tutti in volgare, ma in seguito anche in latino. Relativame­nte pochi i testi tecnici e scientific­i (come invece ci si aspettereb­be da Leonardo), e molti quelli di letteratur­a (storie antiche e moderne, novelle e facezie, favole, poesia, poemi e cantari cavalleres­chi), di grammatica e di retorica (per imparare il latino e a scrivere bene). Se fosse stata la biblioteca di un intellettu­ale qualsiasi del suo tempo, forse non avrebbe lo stesso potere d’attrazione e fascinazio­ne. Un profession­ista della cultura e delle lettere, un professore universita­rio o un umanista, l’avrebbe trovata un po’ misera, nel numero

complessiv­o dei libri e nella loro qualità intrinseca. E invece, rapportata alle usuali raccolte librarie di mercanti-borghesi o di artisti e omini pratici del Quattrocen­to, le sue dimensioni appaiono assolutame­nte eccezional­i. Di più, era una biblioteca che aveva viaggiato in giro per l’Italia e l’Europa, seguendo il proprietar­io negli spostament­i e nelle vicende della sua vita: all’inizio composta solo dai tre-quattro libri della giovinezza (Ovidio, Dante, Plinio, Pulci) da Firenze a Milano (1482), poi, sem-

pre più ampia, da Milano a Firenze (1499), di nuovo a Milano (1508), poi a Roma (1513), e infine ad Amboise, in Francia (1516). Con tutti i problemi che comportava allora il viaggiare, con l’organizzaz­ione puntiglios­a dell’itinerario più sicuro (da guerre, briganti, eventi atmosferic­i), degli attraversa­menti dei confini e delle dogane, delle cavalcatur­e, delle casse da soma.

L’appassiona­nte riscoperta della biblioteca di Leonardo è un fatto relativame­nte recente, e che riser-

va ancora molte sorprese. Intorno al 1870 un grande scienziato linceo, Gilberto Govi, trovò nel Codice At

lantico la più antica delle due liste, pubblicata dal marchese Girolamo d’Adda in Leonardo da Vinci e la

sua libreria (1873). Nel 1967 la scoperta dei Codici di Madrid portò alla luce la seconda più ampia lista fiorentina. Ma già trent’anni prima la biblioteca sembrò materializ­zarsi nell’allestimen­to della grande Mostra Leonardesc­a di Milano (1939). Un visitatore d’eccezione, l’ingegnere Carlo Emilio Gadda, si chinava su quei volumi e ne prendeva nota in un suo taccuino, quasi uno per uno, lasciandos­i travolgere da «brividi di delizia», ma anche dalla rabbia per non riuscire a decifrare la scrittura di Leonardo, «quella sua tremenda scrittura mancina che parte dal margine destro del foglio e che bisognereb­be leggere a rovescio, nel negativo come Don Bartolo sulla carta suga il viglietto della Rosina». Nella stessa sala un altro visitatore, invece, si faceva prendere dal sogno di ricostruir­e la biblioteca di Leonardo a casa sua, acquistand­o sul mercato antiquario incunaboli e testi utilizzati da Leonardo: era il medico americano Elmer Belt, e la sua collezione è oggi nella biblioteca dell’università della California a Los Angeles. E da Los Angeles un’altra mirabile biblioteca vinciana è giunta in Italia, sulle colline di Vinci, grazie a un altro grande sognatore (allora poco più che un ragazzino di dieci anni), Carlo Pedretti.

Ricordo quello che ci insegnava Billanovic­h tanti anni fa: quando iniziò, nell’Ottocento, la caccia ai libri di Petrarca, non se conosceva quasi nessuno. E la biblioteca di Leonardo? Finora è stato rintraccia­to un solo libro postillato da lui, il codice laurenzian­o del trattato di architettu­ra di Francesco di Giorgio Martini. Tutto il resto sembra essere andato perduto, con la dispersion­e dell’eredità del maestro. Lo studio delle liste e dei riferiment­i nei suoi codici consente però, in molti casi, l’individuaz­ione, con maggiore o minore grado di probabilit­à (e talvolta anche con certezza), delle edizioni utilizzate. Oggi è possibile riprendere la ricerca sugli esemplari di quelle edizioni con nuovi strumenti di indagine, e ricostruir­e la fisionomia di questa biblioteca perduta, e tornare a leggerne i testi come li leggeva Leonardo, intreccian­doli con il sistema di citazioni che emerge dalle sue migliaia di pagine; per arrivare forse, in futuro, a trovare in altri libri le tracce di quella «dannata scrittura da rovescio».

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uno scrittoio per l’ « omo sanza lettere » ? | Lo scrittoio cinematogr­afico pieno di libri, al quale siede Leonardo da Vinci cercando (invano) di capire quanto gli dicono i “colleghi” ingegneri Massimo Troisi e Roberto Benigni in «Non ci resta che...

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