Poteri a Erdogan, a rischio il «ponte» con l’Europa
Il referendum di oggi potrebbe accordare al «Reis» poteri assoluti fino al 2034
La Turchia può scegliere se restare una repubblica parlamentare o scivolare verso un’autocrazia di stampo mediorientale. Nel referendum di oggi decide di rimanere nel campo occidentale, oppure imboccare la via orientale del dispotismo come Putin, di cui Erdogan è alleato, o Assad.
pA Kasimpasa anche lo stadio è intitolato a suo nome e per l’ultimo comizio elettorale, i sostenitori lo attendono sul Bosforo scaldando l’atmosfera come una tifoseria da curva sud, con un repertorio di inni e di cori che non finisce mai. Al suo arrivo esplodono. Le sue foto compaiono ovunque: gigantografie sui palazzi ma anche ritratti più modesti nelle botteghe del quartiere e per chi non ne avesse abbastanza al cinema proiettano “Reis”, la sua biografia, una mega produzione da otto milione di dollari dell’imprenditore Temel Kankiran, che però al botteghino non ha reso quanto ci si aspettava.
Ma il culto della personalità è salvo: solo l’immagine di Ataturk nella Turchia contemporanea può fare concorrenza a quella del presidente che con il referendum sulla riforma costituzionale vuole i pieni poteri. E il produttore di “Reis”, Kankiran, si è affrettato a dichiarare che il finale del suo film su Erdogan è aperto, «ci potrebbero essere anche una seconda terza e quarta parte»: il capo infatti non si pone limiti, se passa il “sì” può aspirare a guidare il Paese fino al 2034.
L’attesa per il suo arrivo si fa sempre più fremente e l’organizzazione del partito, l’Akp, non lascia nulla al caso: distribuzione di cibo, bevande e bandiere a volontà, con una sola scritta d’obbligo “Evet”, cioè “sì”. Sul megaschermo si possono seguire in diretta gli altri comizi di Erdogan a Istanbul: cinque in una giornata.
Un presenzialismo che unito al predominio assoluto sui media - al fronte del “no” sono rimaste solo briciole di propaganda - denuncia però qualche nervosismo sul risultato, ancora in bilico negli ultimi sondaggi.
Il film Reis comincia proprio qui a Kasimpasa, dove è nato 63 anni fa. L’uscita del film, con lunghi piani sequenza e musica altamente emotiva, era prevista a ottobre ma è stata anticipata a marzo, nel pieno della campagna referendaria.
Cresciuto in una famiglia tradizionale originaria di Rize sul Mar Nero, è proprio a Kasimpasa che Tayyip Erdogan muove i primi passi da calciatore per arrivare a giocare nei semiprofessionisti. Ma le modeste condizioni della famiglia lo obbligano per mantenersi a vendere ciambelle e limonate. È qui che entra in politica nella sezione locale dell’Unione nazionale degli studenti, un gruppo di azione anticomunista e nel 1974, tra l’altro, scrive e interpreta il ruolo di protagonista nella commedia “Maskomya”, che presenta giudaismo e comunismo come il male assoluto.
Ma il vero salto avviene con l’ingresso nel movimento islamista di Necmettin Erbakan: nel 1991 viene eletto in Parlamento e tre anni più tardi sindaco di Istanbul, rivelandosi un leader pragmatico, impegnato a risolvere problemi concreti come il traffico, l’inquinamento e l’approvvigionamento di acqua.
Erbakan, fatto fuori da un golpe “bianco” dei militari nel 1997 dopo essere diventato primo ministro, è stato il suo grande méntore ma Erdogan frequentò anche con assiduità l’imam Mehemet Zahid Kotku, un sufi che guidava la confraternita della Naqshbandyya, di cui fu membro, oltre al presidente Turgut Ozal, anche il braccio destro di Saddam Hussein, Izzat Ibbrahim al Douri, che in questi anni ha forgiato l’alleanza tra ex ufficiali baatisti e l’Isis fondando un esercito con il nome della confraternita. In Medio Oriente ci sono collegamenti che possono sorprendere soltanto perché li ignoriamo. Erdogan successivamente ha stretto legami con l’imam Fethullah Gulen, diventato dopo il golpe del 15 luglio scorso come la bestia nera del Reis ma che nel decennio scorso aveva messo al servizio dell’Akp un’oliata macchina di propaganda, contribuendo in maniera decisiva ai successi elettorali del partito.
Nel 1998 viene arrestato per aver pubblicamente declamato alcuni versi del poeta Ziya Gokalp, in cui tra l’altro si legge che “le moschee sono le nostre caserme e i minareti le nostre baionette”, Uscito dal carcere, Erdogan fonda l’Adalet ve Kalkinma Partisi (Akp), il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, il partito islamico che nel 2002 vince le elezioni. Riabilitato, nel 2003 assume la carica di premier e nel 2014 va alla presidenza sostituendo il compagno di strada Abdullah Gul.
Di quel gruppo dirigente che diede vita all’Akp ai vertici del partito o nel governo non c’è più nessuno: Erdogan ha fatto fuori tutti i possibili concorrenti o anche soltanto quelli che osavano criticarlo.
Qui a Kasimpasa trova però soltanto sostenitori fedeli ed entusiasti: il suo quartiere e l’intera città sono il suo grande palcoscenico. Figlio di una modesta famiglia di immigrati è diventato un capo ricco, potente e con il referendum vuole dal suo popolo l’investitura finale. Per metà del Paese è il simbolo di quei cittadini della Turchia profonda che sono arrivati a farsi strada in una metropoli che in vent’anni ha triplicato i suoi abitanti; per l’altra metà è solo un altro detestabile “Reis” mediorientale.
L’INVESTITURA FINALE Del gruppo dirigente che diede vita al partito del presidente non è rimasto più nessuno: Erdogan ha fatto fuori tutti i concorrenti