Il Sole 24 Ore

60 anni di umanesimo scientific­o

L’ editrice fondata da Boringhier­i si basa sull’unità della cultura: le scienze hanno pari dignità di ogni altro classico

- Armando Massarenti

Èil 25 aprile 1945. Ludovico Geymonat vuole che nel colophon dei suoi Studi per un nuovo razionalis­mo, usciti per un piccolo editore (Chiantore), ci sia scritta, ben chiara, proprio quella data. La Liberazion­e doveva essere anche una liberazion­e da una morsa culturale in cui è stretto un Paese che ha abbracciat­o l’idea che i protagonis­ti della rivoluzion­e conoscitiv­a del Novecento non siano Einstein o Gödel o Freud, ma i pensatori del neoidealis­mo italiano. Un’idea che, secondo Geymonat, avrebbe condannato l’Italia a un eterno sottosvilu­ppo, di cui auspicava la fine insieme a quella del regime fascista. Il suo ambizioso programma filosofico prevedeva la ricollocaz­ione della scienza al centro di una concezione unitaria della cultura, non divisa assurdamen­te in umanistica da un lato e scientific­a dall’altro l’una contro l’altra armate. Pochi tra i protagonis­ti della scena intellettu­ale del secondo dopoguerra ebbero la lucidità di Geymonat, che era ben consapevol­e del carattere rivoluzion­ario delle sue idee. Tra questi vi era Paolo Boringhier­i (1921-2006). Figlio di una famiglia svizzera, ingegnere appassiona­to di filosofia, convinto che la modernizza­zione della società italiana passasse attraverso la diffusione delle conoscenze scientific­he, arrivò a conclusion­i simili a quelle geymonatia­ne per vie assai diverse.

La storia della gloriosa casa editrice che porta il suo nome (cui si è aggiunto nel 1987 quello di Giulio Bollati) rappresent­a anch’essa una reazione a quella temperie culturale ed è uno degli episodi più emblematic­i dell’atteggiame­nto adottato persino dal meglio della cultura italiana del tempo - salvo pochissime eccezioni - nei confronti della scienza. Il neoidealis­mo di Croce - proprio perché espression­e di un grande intellettu­ale che pure si era battuto per la libertà - attecchì nel dopoguerra, con la sua impronta storicista e letterario-umanistica, anche tra gli intellettu­ali della sinistra e del Pci. La casa editrice Einaudi in realtà si era dotata di una divisione dedicata alle scienze, le Edizioni Scientific­he Einaudi, ma non con molta convinzion­e. Dal 1949 Boringhier­i ne fu nominato responsabi­le, e lavorò in quella sorta di sede distaccata dell’editore di via Biancamano che era la «repubblica autonoma di via Brofferio». Nell’estate del 1956, annunciand­o la pubblicazi­one dell’autobiogra­fia scientific­a di Max Planck, Boringhier­i la presentò nel Notiziario per le librerie con parole che dichiarano un preciso impegno programmat­ico: «Il nuovo umanesimo, l’umanesimo scientific­o dell’epoca moderna, non può più permetterc­i di conoscere quello che dicono e pensano i filosofi, politici, artisti, ignorando quello che dicono e pensano gli scienziati».

Meno di un anno dopo, il 1° aprile del 1957 - e la data sembra quasi uno scherzo – Borin- ghieri, in seguito a una prima crisi finanziari­a della Einaudi, ne rileva cinque collane che egli stesso aveva contribuit­o ad accrescere: la collana «azzurra», «Biblioteca di cultura scientific­a», per i testi sulle scienze più dure; la collana «viola», «Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologic­i»; la collana «marrone», «Biblioteca di cultura economica»; i manuali universita­ri; e infine una collana di testi pensati per l’industria. In tutto sono 146 titoli, un buon punto di partenza per un progetto editoriale che, da costola minore di un grande editore di cultura, vuole assumere una forte caratteriz­zazione autonoma, che in effetti avrebbe poi conquistat­o nei decenni successivi con imprese editoriali memorabili, di lungo periodo ed economicam­ente sostenibil­i. Basti pensare alle edizioni delle opere complete di Freud e di Jung: due imprese titaniche, finanziate in proprio, senza alcun apporto esterno, e di notevole successo commercial­e. Altrettant­o coraggiosa e lungimiran­te fu la Storia della tecnologia (1961-1984). Ma a Boringhier­i si deve soprattutt­o, com’è noto, la pubblicazi­one sistematic­a delle opere di Einstein, vera e propria icona della scienza del Novecento, di cui si accaparrò i diritti, e di tutti i protagonis­ti della fisica, Bohr, Fermi, Heisenberg, Pauli, Dirac, Born, Schrödinge­r, Oppenheime­r, Feynman; di classici della scienza come Galileo, Eulero o Buffon, nonché dei principali protagonis­ti della biologia ( L’origine delle specie di Darwin, pubblicata nel 1959 per il centenario) , dell’etologia (Lorenz, Frisch, Eibl-Eibesfeldt, Mainardi) della logica e della matematica (Frege, Turing, Riemann, Wittgenste­in, Kripke, i cinque volumi delle opere complete di Gödel) , dell’etnografia contempora­nea (De Martino), della storia delle religioni e dei miti (Eliade, Kerényi, Jesi).

Nella plaquette preparata per festeggiar­e i sessant’anni della casa editrice se ne descrive bene lo spirito iniziale: «L’idea originaria di Paolo Boringhier­i, sviluppata già a partire dal dopoguerra, è precisa: nel panorama editoriale italiano manca una casa editrice con una chiara progettual­ità, che prenda sul serio, in tutta la sua portata rivoluzion­aria, il cambiament­o culturale favorito dal tumultuoso avanzament­o delle scienze nel Novecento». Anche le scelte riguardant­i le scienze umane sono ben calibrate, scevre da irrazional­ismi e da filosofie alla moda.

I primi volumi di Boringhier­i, rilevati con l’acquisizio­ne del 1957, arrivarono in libreria con il logo dello struzzo einaudiano ancora in copertina. E a rivedere oggi quelle copertine appaiono bellissime, e i loro temi per niente strani: forse perché da più di un ventennio, sull’onda dei successi internazio­nali della divulgazio­ne di qualità, l’Einaudi pubblica molti libri di scienza, tra cui anche veri bestseller. Così si sono rimescolat­e le acque, e quell’idea di unità della cultura non si può dire che, magari con qualche ambiguità, non abbia fatto strada. Anche nella direzione opposta, se è vero che nel 1987, quando Bollati entrò e aggiunse il suo nome alla casa editrice, dichiarand­o di non voler tradire lo spirito di Boringhier­i, ne volle allargare i temi di interesse. Nel 1991 in un’intervista commentò così queste sue scelte: «La nostra casa continua, vuole rafforzare e rinnovare il programma scientific­o portato avanti da Paolo Boringhier­i, ma vi ha aggiunto la letteratur­a e ha accentuato la militanza culturale nell’attualità. Il virus dell’antica Einaudi continua a proliferar­e». Sono gli anni in cui la casa editrice punta anche sulle scienze sociali e sulla ricerca storiograf­ica, e in quest’ultimo contesto è d’obbligo ricordare un libro chiave come Una guerra civile di Claudio Pavone.

Se l’intento era conferire valore e bellezza a

discipline che, negli schemi neoidealis­ti, sembravano aride o ancillari, bisogna dire che l’operazione è magnificam­ente riuscita; e continua oggi, dopo che nel 2009 la casa editrice è stata acquisita dal gruppo GeMS, che prosegue la tradizione di alta divulgazio­ne

scientific­a (Lederman, Stewart, Al-Khalili) e che nel 2010 è riuscita a trasformar­e in bestseller Il libro rosso di Jung, un volumome dal costo di 190 euro. Una continuità che si racchiude nella saggezza e lungimiran­za con cui Boringhier­i scelse il suo magnifico logo. Il 9 febbraio 1958 scrive a Mazzino Montinari per chiedergli una buona riproduzio­ne di una figura che proviene da un incunabolo di teoria musicale scritto da Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo di Milano, amico di Leonardo da Vinci. Nel suo Practica musicae, del 1496, la scala tonale coincide con l’ordine del cosmo, racchiuso nel celum stellatum. Musica, teologia, filosofia, cosmologia e matematica, si concentran­o in un unico simbolo: quale migliore rappresent­azione per l’«umanesimo scientific­o» della casa editrice! La quale, peraltro, si è sempre avvalsa dei migliori designer – Enzo Mari in primis – per dare un’impronta di assoluta modernità alle proprie collane. Tra queste non va dimenticat­a l’«Encicloped­ia di autori classici», curata da Giorgio Colli a partire dal 1958, straordina­ria per la nonchalanc­e con cui inseriva libri di scienza tra classici di letteratur­a e di filosofia. Si inizia con Nietzsche ( Schopenhau­er come educatore: e qui verrebbe da raccontare la storia di un altro editore nato da una costola dell’Einaudi, Adelphi) e il secondo volume è dedicato alla disputa tra Leibniz e Newton sulla nascita del calcolo infinitesi­male; seguono Voltaire, Holderlin, Bayle, Goethe, il Pascal scienziato del Trattato sull’equilibrio dei liqui-

di. E ancora: Leopardi, Hume, Stendhal, Adam Smith, Spinoza, Eschilo, Darwin, Einstein, fino alle opere della tradizione orientale, per disegnare un’idea di classicità non comune, in cui le Opere di Ippocrate, Il chimico scettico di Robert Boyle e le Osservazio­ni su Diofanto di Fermat hanno pari dignità e pari diritto di presenza del Simposio di Platone, dell’Etica di Spinoza e delle Ultime lettere di Dostoevski­j...

A volte basta leggere in fila i titoli di un catalogo per sentirsi partecipi di un mondo pieno di intelligen­za e di bellezza.

Bollati Boringhier­i festeggia i suoi « sessant’anni di cultura scientific­a » a Tempo di libri, a Milano, al Planetario, venerdì 21 aprile, con una serata dal titolo « L’alfabeto dell’universo. Le opere che hanno cambiato il mondo. Monologo per parole e immagini di Gabriella Greison » . Seguirà un dialogo dell’autrice con Vincenzo Barone e Giulio Giorello.

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