Il Sole 24 Ore

«Centro di ricerca del mondo»

Innovazion­e come priorità: Israele catalizza l’interesse dei big hi-tech globali

- di Elena Comelli di Elena Comelli

a L’obiettivo è diventare il centro di ricerca del mondo. Israele spende il 4,3% del Pil in ricerca e sviluppo - più di Paesi campioni dell’innovazion­e come Svezia, Svizzera o Germania - con una forte prevalenza di investimen­ti privati sui contributi del governo, che coprono appena il 15% della torta. Le decisioni strategich­e su come impiegare questi fondi e centrare l’obiettivo fanno capo a Avi Hasson, Chief Scientist del ministero dell’Economia: «Il mio ruolo è inserito nel dicastero che si occupa dello sviluppo economico, non della scienza o dell’educazione, perché la mia missione è trasformar­e Israele in un hub internazio­nale della ricerca e farne un volano di crescita per tutto il Paese», spiega Hasson, 46 anni, da sei in questo ruolo.

In parte, la missione è già compiuta. Israele ha più società quotate al Nasdaq di qualsiasi altro Paese, tranne gli Stati Uniti, e più investimen­ti in venture capital di Germania o Francia. La bilancia commercial­e è in attivo proprio grazie all’alta tecnologia, che costituisc­e oltre il 50% dell’export. L’economia non ha risentito della crisi globale e nel 2016 è cresciuta del 4%, mentre le startup locali hanno raccolto quasi 5 miliardi di investimen­ti dai capitalist­i di ventura. «Ricevo delegazion­i da tutto il mondo, che mi chiedono come abbiamo fatto, ma non esiste una ricetta infallibil­e per mettere in moto una rivoluzion­e tecnologic­a», spiega Hasson. Certo è che la sua strategia non è incentrata sui contributi

tel aviv Un drone con la sua “casa” dove ricaricare la batteria, un robot oer anziani, un deep learning per fare diagnosi. Sono tre startup nate dall’Ai israeliana, frutto di un ecosistema che si rinnova in continuazi­one

statali, ma sulla creazione di un ecosistema favorevole all’innovazion­e e al trasferime­nto di conoscenze dalle università alle imprese.

Tutto è cominciato una ventina d’anni fa, con lo sbarco delle regine della tecnologia, in cerca di cervelli: da Ibm a Intel, da Cisco a Ge, da Hp a Bosch, passando per Microsoft e a seguire anche Apple, Google, Facebook, Amazon hanno installato qui importanti centri di ricerca - oltre 300 in tutto - attingendo agli scienziati formati dalle università all’avanguardi­a in molti settori chiave, dalla bioinforma­tica all’intelligen­za artificial­e, dalla robotica alle nanotecnol­ogie. Ben 34 di questi centri sono diretti da ex-alunni del Technion di Haifa, il più importante Politecnic­o israeliano, stabilment­e nella top 20 dei dipartimen­ti di Computer Science del mondo e sesto per imprendito­rialità e innovazion­e in una recente ricerca del Mit. Negli ultimi dieci anni dal Technion sono usciti tre Nobel e 42 delle 72 società israeliane quotate al Nasdaq. Non sono da meno altri istituti superiori, come il Weizman o la Hebrew University di Gerusalemm­e, che ha un dipartimen­to di intelligen­za artificial­e da sempre nella top ten del mondo in questo settore.

Dai centri di ricerca delle multinazio­nali si è innescata una fioritura di spinoff, che ha trasformat­o il Paese in una “startup nation”, con la crescita di migliaia di imprese locali. La terza fase è quella di oggi, con le startup locali che diventano campioni internazio­nali, come nel caso di Mobileye per l’auto a guida autonoma, fondata nel ’99 da un professore di computer science alla Hebrew University, Amnon Shashua, e venduta a Intel il mese scorso per 15,3 miliardi di dollari.

Il prossimo passo è diventare il punto di riferiment­o mondiale per gli innovatori. La crescita dei centri di ricerca esteri, che si è intensific­ata negli ultimi anni, deve andare di pari passo con lo sviluppo dello spirito imprendito­riale. «Vogliamo attrarre forze fresche con un nuovo visto mirato», spiega Hasson. La Israel Innovation Authority ha lanciato un programma chiamato Innovation Visa, che fornirà un visto per 24 mesi e incentivi a imprendito­ri stranieri, con un prolungame­nto di cinque anni se il progetto riesce a diventare una società. Hasson punta ad allargare la platea, investendo nei progetti più rischiosi, «quelli in cui il venture capital non si azzarda ad entrare», e includendo nello spirito d’impresa i cittadini arabi, che costituisc­ono un quinto della popolazion­e ma hanno una partecipaz­ione troppo bassa al miracolo economico israeliano. La rivoluzion­e tecnologic­a non dev’essere solo un terreno di gioco per pochi eletti.

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