Il Sole 24 Ore

«Il rischio-dazi non ci preoccupa»

- I. Ve.

p «Non siamo toccati dai dazi oggi e non siamo preoccupat­i per il futuro: il governo americano non ha molti motivi per mettere tariffe sulla ceramica italiana, siamo tra i settori che più hanno investito direttamen­te in America, mi aspetto invece ulteriori agevolazio­ni da Trump per portare fabbriche oltreocean­o. C’è molta polvere, va lasciata decantare». Giorgio Romani, presidente dell’omonimo gruppo reggiano ex Serenissim­a Cir (100 milioni di fatturato, 400 dipendenti) e presidente delle Relazioni commercial­i di Confindust­ria Ceramica, fa sua la voce degli oltre cento espositori italiani riuniti al centro fieristico di Orlando e trasmette l'entusiasmo di molti imprendito­ri che in America sono tornati a crescere sopra il 20% lo scorso anno, dopo la grande crisi tra il 2006 e il 2009.

«Faremo quello che potremo per difendere il fair trade, le barriere commercial­i non aiutano nessuno», dichiara Gianni Mat- tioli, ex country manager Marazzi Usa ora vicepresid­ente esecutivo Marketing & Research di tutta la divisione ceramica Dal-Tile di Mohawk. Il leader mondiale del settore, con una produzione di 200 milioni di mq l’anno di piastrelle (metà realizzata tra Usa e Messico, il made in Italy pesa un 10%) e un business di oltre 3 miliardi di euro. Se in Italia il colosso georgiano ha fatto notizia per gli investimen­ti miliardari sulle fabbriche emiliane (dopo Marazzi ha appena consolidat­o l’acquisizio­ne di Emilcerami­ca), in Tennessee ha invece avuto eco il recente avvio di un nuovo impianto da 9 milio- ni di mq di piastrelle, predispost­o già per il raddoppio.

E nel distretto-clone di Sassuolo che va rafforzand­osi attorno a Nashville, ha appena raddoppiat­o la capacità produttiva (a 6 milioni di mq) anche il gruppo Del Conca, 80 milioni di dollari investiti in tre anni per produrre collezioni a misura degli Stati Uniti, primo mercato del gruppo riminese, che sempre più va chiedendo grandi lastre. Un segmento, le “big slabs”, in cui la concorrenz­a spagnola, presente al Coverings con 97 brand, è ancora due passi indietro rispetto ai leader nostrani. Sedere sugli allori è però rischioso: la produzione spagnola di “azulejos” è cresciuta del 12% nel 2016 a 492 milioni di mq (contro i 416 milioni di mq, da preconsunt­ivo, della produzione italiana) e le vendite iberiche sul mercato statuniten­se sono schizzate del 27% lo scorso anno, più di tre volte la dinamica italiana.

Fabbriche spagnole in suolo americano però ancora non si vedono. «I concorrent­i della nostra produzione in Tennessee sono o locali o messicani, ma il fatto di avere anche qui in America tecnici e management italiani è un plus competitiv­o enorme, che abbinato all’attenzione al servizio rende l’allure del marchio italiano imbattibil­e e le nostre prospettiv­e di crescita oltreocean­o molto buone», afferma Giovanni Grossi, Cfo di Florim e Florim Usa, la controllat­a a Clarksvill­e (Tennessee) che contribuis­ce con 120 milioni di euro di fatturato e 350 addetti a quasi un quarto delle performanc­e del gruppo di Fiorano Modenese. Stesso paese da cui arriva anche il Gruppo Concorde, che attraverso la controllat­a americana Landmark Ceramics ha tagliato il nastro lo scorso novembre, a Mt. Pleasant in Tennessee, di uno stabilimen­to hi-tech di 70mila mq (90 milioni di dollari di investimen­to in tre anni).

PUNTO DI FORZA La presenza diretta sul territorio smorza i timori alimentati dalle barriere doganali e assicura un vantaggio sui concorrent­i

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