Comporto, licenziabile anche l’invalido
Anche il lavoratore invalido inserito nelle categorie protette può essere licenziato per superamento del periodo di comporto previsto dal contratto collettivo, nel caso in cui le assenze per malattia computate per determinare il superamento massimo non siano ricollega- te allo stato di invalidità. È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 9395/ 2017, depositata il 12 aprile.
Nella sentenza si osserva che, in presenza di un rapporto di lavoro attivato con invalido assunto obbligatoriamente, le assenze per malattia non possono essere computate ai fini del superamento del periodo di comporto laddove esse siano connesse alla condizione della invalidità .
Viceversa, se le condizioni di salute che determinano l’astensione dal lavoro sono relative a una patologia preesistente, da cui il lavoratore invalido era già affetto prima dell’attivazione del rapporto di lavoro, e se, inoltre, tale patologia non rientra nelle specifiche invalidità che hanno determinato l’inserimento del lavoratore in azienda quale categoria protetta, i giorni di assenza sono computabili ai fini del comporto.
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema corte si controverteva del licenziamento intimato a un lavoratore invalido per il superamento del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro in costanza di malattia.
La difesa del lavoratore sosteneva che all’origine della malattia, da cui era scaturito il licenziamento per superamento del comporto, vi fosse una patologia retinica incompatibile con le mansioni di magazziniere cui era stato addetto il lavoratore, in quanto esse comportavano il sollevamento di pesi e la ripetuta movimentazione di carichi.
Alla luce di questa ricostruzione, la difesa del lavoratore affermava la illegittimità del licenziamento sul presupposto che il datore di lavoro aveva adibito il dipendente a mansioni incompatibili con il suo stato di invalidità, rendendosi responsabile per le assenza dovute a malattia. Per tale ragione, le predette assenze non potevano essere computate nel periodo di comporto.
In primo grado il ricorso del lavoratore era stato accolto, mentre la Corte d’appello ave- va riformato la decisione, affermando che la malattia da cui era scaturita l’assenza del lavoratore era da ricondurre ad una pregressa patologia di cui lo stesso lavoratore soffriva, rispetto alla quale le attività di magazziniere a quest’ultimo assegnate non avevano determinato un aggravamento.
La Corte di cassazione ritiene corretta la decisione resa in appello e precisa che, alla luce di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare la responsabilità contrattuale del datore di lavoro per averlo adibito a mansioni incompatibili con lo stato di invalidità, concludendo che nessuna prova in tale direzione era stata fornita in giudizio.
Pertanto, non essendo stato dimostrato né che le assenze dovute a malattia erano direttamente collegate allo stato di invalidità, né che il lavoratore era stato adibito a mansioni incompatibili con le sue ridotte capacità psicofisiche, la conclusione cui perviene la Suprema Corte è di conferma della validità del licenziamento per superamento massimo del periodo di malattia.
IL PRINCIPIO Spetta al lavoratore dimostrare la responsabilità del datore per le mansioni incompatibili con la sua salute