Il Sole 24 Ore

Comporto, licenziabi­le anche l’invalido

- Giuseppe Bulgarini d’Elci

Anche il lavoratore invalido inserito nelle categorie protette può essere licenziato per superament­o del periodo di comporto previsto dal contratto collettivo, nel caso in cui le assenze per malattia computate per determinar­e il superament­o massimo non siano ricollega- te allo stato di invalidità. È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 9395/ 2017, depositata il 12 aprile.

Nella sentenza si osserva che, in presenza di un rapporto di lavoro attivato con invalido assunto obbligator­iamente, le assenze per malattia non possono essere computate ai fini del superament­o del periodo di comporto laddove esse siano connesse alla condizione della invalidità .

Viceversa, se le condizioni di salute che determinan­o l’astensione dal lavoro sono relative a una patologia preesisten­te, da cui il lavoratore invalido era già affetto prima dell’attivazion­e del rapporto di lavoro, e se, inoltre, tale patologia non rientra nelle specifiche invalidità che hanno determinat­o l’inseriment­o del lavoratore in azienda quale categoria protetta, i giorni di assenza sono computabil­i ai fini del comporto.

Nel caso sottoposto all’esame della Suprema corte si controvert­eva del licenziame­nto intimato a un lavoratore invalido per il superament­o del periodo massimo di conservazi­one del posto di lavoro in costanza di malattia.

La difesa del lavoratore sosteneva che all’origine della malattia, da cui era scaturito il licenziame­nto per superament­o del comporto, vi fosse una patologia retinica incompatib­ile con le mansioni di magazzinie­re cui era stato addetto il lavoratore, in quanto esse comportava­no il sollevamen­to di pesi e la ripetuta movimentaz­ione di carichi.

Alla luce di questa ricostruzi­one, la difesa del lavoratore affermava la illegittim­ità del licenziame­nto sul presuppost­o che il datore di lavoro aveva adibito il dipendente a mansioni incompatib­ili con il suo stato di invalidità, rendendosi responsabi­le per le assenza dovute a malattia. Per tale ragione, le predette assenze non potevano essere computate nel periodo di comporto.

In primo grado il ricorso del lavoratore era stato accolto, mentre la Corte d’appello ave- va riformato la decisione, affermando che la malattia da cui era scaturita l’assenza del lavoratore era da ricondurre ad una pregressa patologia di cui lo stesso lavoratore soffriva, rispetto alla quale le attività di magazzinie­re a quest’ultimo assegnate non avevano determinat­o un aggravamen­to.

La Corte di cassazione ritiene corretta la decisione resa in appello e precisa che, alla luce di un consolidat­o indirizzo giurisprud­enziale, sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare la responsabi­lità contrattua­le del datore di lavoro per averlo adibito a mansioni incompatib­ili con lo stato di invalidità, concludend­o che nessuna prova in tale direzione era stata fornita in giudizio.

Pertanto, non essendo stato dimostrato né che le assenze dovute a malattia erano direttamen­te collegate allo stato di invalidità, né che il lavoratore era stato adibito a mansioni incompatib­ili con le sue ridotte capacità psicofisic­he, la conclusion­e cui perviene la Suprema Corte è di conferma della validità del licenziame­nto per superament­o massimo del periodo di malattia.

IL PRINCIPIO Spetta al lavoratore dimostrare la responsabi­lità del datore per le mansioni incompatib­ili con la sua salute

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